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Siria: l’unica via per fermare l’ISIS è un accordo fra USA e Russia

[1]Solo l’accordo tra Russia e Stati Uniti salverà la Siria

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero [2] del 13 settembre 2015

Le analisi sulla tragedia siriana [3] sono così numerose e contrastanti da produrre un crescente disorientamento anche tra i massimi esperti delle questioni mediorientali. Si sa tutto di quanto sta avvenendo [4] ma divergono sempre più le ipotesi di come le cose possano essere risolte.

La tragedia di cinque anni di guerra [5] ha ormai raggiunto livelli inimmaginabili: oltre 250mila morti e quasi sette milioni di rifugiati [6]. Le migliaia e migliaia di vittime che hanno bussato alle porte dell’Europa [7] sono solo una piccola parte di coloro che, fuggiti nei paesi vicini, vivono nella disperazione dei campi profughi.

Nonostante le conseguenze di questa tragedia, la guerra fra sciti e sunniti e fra le infinite frazioni di sunniti si estende e si approfondisce, preparando altre tragedie.

È ormai una guerra per procura [8] perché le grandi potenze vi esercitano un’influenza decisiva ma non riescono o non vogliono trovare tra di loro un accordo [9], anche se, dalla Cina alla Russia, dall’Europa agli Stati Uniti, il terrorismo che si raduna attorno ai vari califfati viene ritenuto il pericolo numero uno della pace e della convivenza mondiale.

[10]Fino ad ora non si è trovata nessuna intesa [11] contro questo nemico comune, che si è quindi rafforzato e che ancora più si rafforzerà se le tensioni fra le grandi potenze [12] permetteranno che i terroristi continuino a ricevere immense risorse [13] dalle vendite di petrolio, dai rapimenti, dai taglieggiamenti e dalle vendette che sempre si accompagnano alle guerre civili.

Negli ultimi giorni, anche perché indebolita dal crollo degli introiti petroliferi [14] e dalle sanzioni [15], la Russia ha aumentato la propria presenza militare in Siria, non solo per ribadire la tradizionale amicizia con il dittatore Assad ma soprattutto per dimostrare che l’esercito siriano [16] è l’unica forza attorno alla quale è possibile organizzare la lotta contro il califfato.

Gli Stati Uniti, e in misura minore (molto minore) la Francia e la Gran Bretagna, attaccano l’Isis con incursioni di aerei e di droni ma nessuno ha alcuna intenzione [17] ed alcuna possibilità politica di inviare in Siria truppe di terra. L’opinione pubblica americana, anche quella che più preme per una politica muscolare, non è in grado di sopportare che altri cadaveri ritornino da guerre lontane. L’Iraq e l’Afghanistan sono un ricordo troppo recente [18] di un prezzo altissimo pagato per ottenere risultati dubbi o negativi.

Nello stesso tempo tutti sono consapevoli che le guerre non si vincono con i droni [19] ma con gli scarponi [20] e gli unici scarponi, ancorché terribilmente malandati, sono quelli dell’arcinemico Assad, protetto dall’arciavversario Putin [21]. Bisogna che di questo gli Stati Uniti prendano atto.

[22]Per un po’ di tempo una buona parte dell’establishment militare americano ha coltivato l’illusione, ancora oggi portata avanti da alcuni intellettuali europei, che l’Isis sia fragile e fornito di forze non sufficienti per espandersi. Non sono un esperto militare ma sono costretto a constatare che, almeno fino ad ora, le cose sono andate in senso opposto. Le divisioni esistenti nello schieramento anti-terrorista [23] non sono oggi in grado di proteggere né il popolo né le memorie storiche della Siria. Di conseguenza il Califfato è in posizione di crescente forza.

Tutto questo andrà avanti finché gli Stati Uniti continueranno a trovarsi nella posizione impossibile di combattere nello stesso tempo contro il terrorismo e contro il suo unico avversario [24] sul terreno, e cioè l’odiato Assad.

La Russia ha fatto la scelta di essere con Assad contro il Califfato, costringendo gli Stati Uniti a decisioni estremamente difficili [25] ma che non possono essere a lungo rinviate.

Tenendo conto della debolezza russa e delle contraddizioni americane, l’unica via possibile è un compromesso fra queste due grandi potenze in modo da lottare insieme contro il terrorismo [26] e preparare, nei tempi e nei modi opportuni, la successione di Assad. Il caso iracheno e quello libico ( che ha tanti elementi comuni a quello siriano e nel quale noi italiani siamo in prima linea) dimostrano che l’abbattimento di un regime autoritario, senza preparare le soluzioni per il dopo, porta solo ad ulteriori e più gravi tragedie [18].

Da anni sono costretto a ripetere che, per vincere il terrorismo, non vi è soluzione al di fuori di un accordo tra le grandi potenze [27]. Mi rendo conto di tutte le difficoltà che si frappongono a quest’accordo. Mi rendo conto che questo obbliga a mettere sul tavolo anche il problema ucraino [28], con tutte le conseguenze che ne derivano.

[29]Tutto difficile, ma l’alternativa è un’ulteriore immensa quantità di sangue [30] e altri milioni di rifugiati [31]. Un accordo, pur lento e faticoso, è la soluzione non solo razionale ma rispondente agli interessi russi, americani, cinesi ed europei.

Avanti quindi con trattative e negoziati. Anche se contrarie a principi più volte proclamati e a prese di posizioni lungamente ribadite, le trattative sono l’unica soluzione possibile [32]. Non solo per il bene comune ma anche per perseguire gli interessi comuni. Bisogna però fare presto perché, in queste situazioni di grande tensione, gli incidenti sono sempre possibili.