- Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli - http://www.fondazionepopoli.org -

Il Punto della situazione di Maggio: la supremazia del sapere

[1]Un comitato di tecnici per salvare l’ambiente e la ripresa economica

Dopo la approvazione del Decreto Semplificazione, abbiamo ritenuto utile mettere on line, sul sito della Fondazione, questa nostra raccolta di commenti che nasce da un editoriale di Romano Prodi e Alberto Clò pubblicato recentemente su ‘il Messaggero’ col titolo ‘La supremazia del sapere’

Ciò facendo, si allarga il tema ‘Energia e clima’ a quelli non meno importanti di Trasporti, Logistica, Digitalizzazione per Città intelligenti (Smart Cities) e amministrazione, tutti oggetto del Decreto Semplificazione.

Alessandro Ovi

 

La supremazia del sapere

  1. Energia e Emissioni di CO2,
  2. Trasporti e logistica: Tecnologia Made in Italy per trasformazione al digitale grazie ad accordi pubblico privato,
  3. Digitalizzazione delle Amministrazioni pubbliche\ Città Intelligenti su iniziative locali,
  4. Conclusione: il Comitato Tecnico Scientifico sulla Transizione.

 

Dacché è iniziato questo tempo orribile della Pandemia, non vi è nulla che ci sia consentito fare che non sia riconducibile alle valutazioni e proposte di un Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della Sanità.

Anche se ogni decisione finale non può che spettare alla politica, al governo, al parlamento. Un riconoscimento, potremmo dire una riscoperta, del valore della conoscenza, del sapere, della scienza – pur se inevitabilmente talora divisa al suo interno – nel valutare l’andamento dei dati e nel proporre le modalità per ridurne i rischi.

A ben vedere vi sono altri ambiti decisionali che presentano non dissimili caratteri di urgenza, di straordinarietà, di pericolosità ove la voce della scienza dovrebbe svolgere un ruolo preminente. Ci riferiamo alla ‘tutela dell’ambiente’ che rientra nella competenza esclusiva dello Stato dopo la riforma del titolo V della Costituzione del 2001. Tutela che ha oggi nella lotta ai cambiamenti climatici l’aspetto di sua maggior criticità e urgenza: di per sé e nel momento in cui si stanno decidendo le scelte del nostro paese per farvi fronte nei decenni a venire.

Scelte che sono state incardinate nei criteri generali, più che in specifici progetti, nella nuova versione del Recovery and Resilience Plan [2] (PNRR, di seguito Piano) presentato dal Governo al Parlamento il 25 aprile. Delle sei Missioni cui è finalizzato, la seconda è rivolta alla ‘Rivoluzione verde e Transizione ecologica’ cui è destinato il 37% (57 miliardi di euro) delle risorse messe a nostra disposizione dall’Unione Europea. Si dà in tal modo seguito all’European Green Deal proposto dalla Commissione nel dicembre 2019 e finalizzato a rendere l’Europa il primo continente ad azzerare le emissioni nette di gas serra entro metà secolo, riducendole del 55% entro il 2030. Rivoluzione e Transizione che dovrebbe ridurre le nostre emissioni all’interno, aspetto dirimente, di una coordinata azione internazionale non solo europea, giacché quel che conta non è la riduzione delle emissioni locali ma quelle globali, giacché come il virus esse non conoscono confini nazionali.

Entrando nel dettaglio dei temi dovremo occuparci in modo specifico di ENERGIA, TRASPORTI, DIGITALE PER L’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA E LE SMART CITIES.

 

[3]1. Energia e emissioni di CO2

In assenza di un comune impegno concreto da parte dei maggiori paesi emettitori (Cina 28%, Stati Uniti 15%, India 7%) gli sforzi per comprimere le nostre emissioni (1%) sarebbero infatti del tutto insignificanti. Se saremo, infatti, in grado di ridurle del 55% entro il 2030, come richiesto dall’Unione Europea, contribuiremmo a ridurre quelle globali previste a quella data di appena lo 0,005%. Meglio di niente, ma ad un costo molto elevato, che non potrebbe essere sopportato da un paese o una regione che agissero in solitario.

Per riuscirvi – a dar conto della complessità e straordinarietà della sfida – dovremmo ridisegnare, la parola giusta è rivoluzionare, il futuro energetico, economico, industriale, geopolitico, sociale del nostro paese: dai beni da produrre alle modalità con cui farlo, ai materiali che usiamo, ai modi con cui ci spostiamo, ai cibi che mettiamo in tavola, ai modi con cui ci riscaldiamo o rinfreschiamo. In sostanza: ne sarà interessato ogni aspetto del nostro vivere quotidiano. Scelte che dovrebbero, si legge nel Piano, disegnare un nuovo “modello di sviluppo” del nostro paese, condizionando il presente e le future generazioni, ai cui interessi rimanda lo stesso concetto di sostenibilità.

Si tratta di scelte che sollevano molti problemi e altrettanti interrogativi. Il primo è il seguente: chi indicherà alla politica le soluzioni di breve-medio-termine e le innovazioni tecnologiche di lungo termine che sono in grado

di massimizzare la riduzione delle emissioni minimizzandone il costo? Riducendo, per quanto possibile, i costi non recuperabili che deriveranno alle imprese da un’anticipata chiusura dei loro impianti. Come verranno selezionate le numerose proposte avanzate all’amministrazione centrale da una gran moltitudine di soggetti – imprese, enti e comunità locali, organismi di ricerca, movimenti ambientalisti, associazioni di categoria, etc.?

Chi, ad esempio, dovrà trovare un punto di sintesi tecnico ed economico sulla tipologia di idrogeno (verde o blu) da realizzare e in quale quantità? Ovvero se investire o meno sulla tecnologia della carbon capture realizzabile dalle nostre imprese così da ridurre la dipendenza dall’estero per le altre tecnologie rinnovabili? Perché, non si dimentichi, il Piano è anche atto di politica estera con profonde implicazioni geopolitiche, perché destinato a modificare le nostre relazioni economiche internazionali; a impattare sulla sicurezza energetica e quindi sul nostro grado di sovranità nazionale.

Chi, in conclusione, indicherà le scelte prioritarie cui allocare le risorse europee guardando agli interessi dei settori che ne trarranno vantaggio e di quelli che ne saranno danneggiati, ad iniziare dall’industria automotive che prima della crisi sanitaria occupava nel nostro paese circa trecentomila addetti e fatturava oltre cento miliardi di euro tra attività dirette e indirette? Un’accelerazione non attentamente ponderata verso la mobilità elettrica che non tenesse conto dei reali effetti sulla riduzione delle emissioni clima-alteranti derivanti dalle diverse tecnologie – valutate nel loro intero ciclo di vita e non solo nell’ultimo miglio – rischierebbe di far precipitare la crisi che s’è abbattuta con la pandemia su questa industria.

E, d’altra parte, la selezione del ‘che fare’ non può limitarsi agli esiti che ne deriverebbero sulla ‘transizione ecologica’, ma dovrebbe tenere conto contestualmente sull’effettivo impatto che avrebbe sulla crescita economica, sulla produzione industriale, sull’occupazione. Opzioni che si traducessero in addizionali importazioni non dovrebbero essere preferite ad altre di origine interna, a parità di impatti climatici.

Non basta, come sta avvenendo, coprirsi dietro le proiezioni contenute nel Piano Nazionale Integrato Energia Clima [4] (PNIEC) – che dovrà per altro essere rivisto per tener conto dei più ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’Unione e degli stessi effetti che il PNRR si auspica possa avere sulla crescita economica – per sostenere la validità di una scelta o dell’altra, se non altro perché quel documento programmatico indica gli obiettivi da conseguire più che il modo con cui farlo.

Nella versione definitiva del Piano dimensione tecnica e dimensione politica dovranno necessariamente raccordarsi nella selezione dei singoli progetti in cui dovrà tradursi la sommaria allocazione delle risorse indicata nell’attuale versione.

Alla luce di tutto ciò, potrebbe ritenersi opportuno che le strutture ministeriali e i decisori politici, così come efficacemente sperimentato nella lotta alla pandemia, siano affiancati da un organismo consultivo , ovvero – Un Comitato effettivamente indipendente costituito da rappresentati degli organismi scientifici nazionali , da conclamati esperti delle diverse discipline in gioco,  da esponenti di organismi internazionali particolarmente edotti sulle dinamiche tecnologiche, come l’Agenzia di Parigi.

Un Comitato in grado di individuare punti di sintesi tra problematiche talora divergenti d’ordine economico, energetico, ambientale, sociale. Aspetto quest’ultimo di cui vi è scarsa consapevolezza, non potendosi pensare che il costo finale delle scelte continui a gravare, come avvenuto sinora, principalmente su famiglie e piccole imprese già penalizzate da un costo dell’energia superiore a quello degli altri paesi europei, con una preoccupante crescita del fenomeno della ‘povertà energetica’ di cittadini non più in grado di soddisfare essenziali esigenze.

Data anche l’urgenza dei tempi, questo Comitato dovrebbe fornire un parere consultivo all’organismo tecnico, o ‘cabina di regia’ che dir si voglia, che le linee guida dell’Unione Europea richiedono obbligatoriamente agli Stati Membri per la stesura e implementazione dei Piani nazionali, Organismo ancora non identificato nel nostro PNRR. Pareri riguardanti un gran numero di complesse questioni tra le quali vale evidenziare: selezione dei progetti che si reputano in grado di garantire il massimo di riduzione delle emissioni al minor costo, tenuto conto delle potenzialità della nostra industria; certificazione della loro eligibilità come effettivamente verdi, alla luce della Tassonomia europea; monitoraggio dell’implementazione dei progetti nel rispetto dei tempi prestabiliti; tempestivi suggerimenti su eventuali correzioni di rotta che si rivelassero necessarie o opportune. Dando conto del tutto all’opinione pubblica in modo esaustivo e trasparente: condizione imprescindibile per ottenerne il più elevato consenso. Il problema  di dare risposte su scala globale diventa ben chiaro se si allarga il tema del settore della Produzione dell’Energia a quello dei trasporti della Logistica e della digitalizzazione della pubblica  amministrazione.

 

[5]2. Trasporti e logistica: Tecnologia Made in Italy per trasformazione digitale grazie ad accordi pubblico privato.  Connected cars, smart road, manutenzione predittiva, intelligenza artificiale, digital growth. Il mondo dei trasporti, grazie alla tecnologia, cambia volto e l’innovazione agisce da volano per una mobilità più sicura, sostenibile e volta a soddisfare sempre più le necessità dell’utente.

All’Università Federico II di Napoli è stato promosso un polo di collaborazione volto a offrire servizi mirati all’accelerazione del processo di digitalizzazione del settore trasporti e logistica.

La partnership prevede un piano di sviluppo sui mercati internazionali per valorizzare il made in Italy e fare in modo che questo possa affermarsi anche in un settore altamente competitivo, oggi dominato da player americani e cinesi.

Al settore dei trasporti e della logistica sarà destinata una parte rilevante delle risorse del PNRR

Obiettivo dell’accordo è lo sviluppo di soluzioni improntate ai nuovi paradigmi e trend della moderna mobilità, come il connected vehicle, vettura dotata di sensori che le permettono di percepire la realtà circostante e di interagire con essa, o la smart road, che consente la comunicazione e l’interconnessione tra i veicoli. Verranno inoltre realizzate applicazioni per la sicurezza nei trasporti e per i processi di manutenzione predittiva, con il supporto di algoritmi di intelligenza artificiale e del digital twin, che riproduce in un formato digitale tridimensionale e virtualmente “navigabile” tutte le caratteristiche dell’infrastruttura. Soluzioni rivolte a tutti gli attori del settore, dai gestori agli operatori.

 

[6]3 Digitalizzazione delle Amministrazioni pubbliche \ Città Intelligenti (Smart Cities) promosse da Istituzioni locali

Strumenti digitali efficaci e accessibili significano innanzitutto diritti dei cittadini, servizi efficienti e sviluppo sostenibile [7]. L’emergenza sanitaria ha determinato l’accelerazione di alcuni processi, sottolineato nuovi bisogni e ha senz’altro reso più evidente quanto l’innovazione aiuti a garantire  continuità dei servizi, spesso erogati da postazioni in remoto, e capacità di resilienza.

Attraverso questi strumenti, accresceremo ulteriormente le nostre competenze digitali, puntando sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale per il monitoraggio delle varie iniziative possibili.

La forte evoluzione del settore digitale si propone come leva di nuovo sviluppo, in grado di alimentare competitività e produttività, creando un potenziale di crescita stabile e di buona occupazione.
Due in particolare gli ambiti della PA [8] dove l’innovazione digitale sta portando valore: Sanità e Smart City [9]. “La digitalizzazione di ambiti strategici come Smart City e Digital Health richiede solide competenze su tutte le tecnologie che danno impulso alla trasformazione. Come AI (Intelligenza Artificiale) e IoT (Internet of Things) che sono a loro volta complessi ecosistemi tecnologici costituiti da Big Data, Networking, Enterprise Integration, calcolo parallelo, Cybersecurity.  n questo senso, alla forte competenza è necessario combinare la sfida fondamentale della capacità di orchestrazione di tecnologie e servizi in continua evoluzione, bilanciando stabilità e innovatività, modellando le soluzioni al caso d’uso, garantendo l’interoperabilità tra sistemi”.

Nella visione che unisce alla profonda conoscenza dei processi della Pubblica Amministrazione centrale una capillare presenza sul territorio – la tecnologia deve aiutare ogni singolo cittadino a vivere meglio e gli Amministratori a governare la complessità con leve adeguate a trasformare le nostre città in termini di semplificazione, innalzamento della qualità della vita, sostenibilità sociale ed ambientale. “Gestire dati che riguardano la vita delle persone implica garantirne la sicurezza e la riservatezza. È fondamentale ricorrere a soluzioni sicure by design con grande attenzione alle più avanzate soluzioni previste dalla Cybersecurity [10],

La crescita digitale passa per il valore delle comunità locali e mette il cittadino al centro, erogando servizi adeguati ed efficienti.  “Obiettivi raggiungibili attraverso una forte capacità di lettura del territorio e una informazione puntuale e leggibile, perché chi ha la responsabilità di amministrare sia in grado di capire, reagire e anticipare i bisogni dei cittadini. Monitoraggio e predittività, grazie all’analisi dei dati trasformati in conoscenza, aumentano la sicurezza e riducono gli stessi costi di amministrazione”.

La forte evoluzione del settore digitale si propone come leva di nuovo sviluppo, in grado di alimentare competitività e produttività, creando un potenziale di crescita stabile e di buona occupazione.

ll Digitale nelle Smart Cities sviluppate da Amministrazioni  locali:

A Messina, ad esempio, si analizzano i dati provenienti da centinaia di sensori sul territorio, monitorando il meteo, l’inquinamento, il rumore, il rischio di frane ma anche la qualità dell’acqua potabile e il sentiment dei cittadini sui social networks. Mentre a Bari i sensori consentono di tracciare la raccolta dei rifiuti, ottimizzando i percorsi dei camion per la raccolta, la verifica dello svuotamento, il censimento geografico dei cassonetti, la gestione delle segnalazioni dei cittadini.

A Reggio Calabria, l’innovazione digitale permette di monitorare la rete di pubblica illuminazione, contribuendo all’abbattimento dei consumi energetici e al miglioramento delle condizioni illuminotecniche del territorio. Nelle stazioni ferroviarie i sensori monitorano gli impianti civili (ascensori, scale mobili, illuminazione) garantendo la sicurezza e semplificando la manutenzione preventiva e predittiva (early anomaly).

A Firenze, la sensoristica è impiegata per verificare in tempo reale lo stato di affluenza nei luoghi di attrazione turistica e culturale, mentre un’App dedicata (FeelFlorence) suggerisce ai turisti visite e itinerari alternativi nelle vicinanze e compatibili con i loro interessi.

A Verona il traffico e le previsioni su situazioni critiche o impatti che eventi, manifestazioni o interventi di manutenzione potranno avere sulla viabilità cittadina, vengono identificati e segnalati in anticipo. Grazie ad algoritmi di Intelligenza Artificiale e a un approccio Big Data, tutti questi dati si traducono in informazione e nuova conoscenza, fornendo un cruscotto real time agli Amministratori che saranno in grado di leggere il territorio e prendere decisioni analizzando le possibili alternative e conseguenze (grazie al modulo ‘what if scenarios’).

Il dialogo tra cittadini e Amministrazione deve essere facile grazie ad accessibilità in mobilità, a maggior ragione nella fase di emergenza sanitaria che attraversiamo, nella quale è importante ridurre la presenza fisica, evitando code e assembramenti.

Per semplificare l’accesso ai servizi, ad esempio, Milano si è dotata dell’App Fascicolo del cittadino, che consente di ottenere un certificato, prenotare un appuntamento, gestire i pass ZTL, ricevere notifiche delle multe e pagarle, tutto direttamente dallo smartphone, in mobilità. Tramite l’App non solo è più facile accedere ai servizi, ma l’Amministrazione è proattiva: l’App ricorda le scadenze e informa il cittadino, ad esempio la carta di identità da rinnovare o un appuntamento prenotato.

A Roma Capitale è in corso il progetto della Casa Digitale del Cittadino, che sarà il nuovo punto di contatto tra Amministrazione e cittadinanza, rendendo più semplice e veloce l’accesso ai servizi digitali. Con una novità: la presenza di incentivi e premialità dei comportamenti virtuosi tramite un approccio di gamification.

A Cagliari il nuovo Portale renderà più chiari e fruibili i servizi comunali e ne implementerà di nuovi fra cui alcune innovazioni in ambito sociale.
Diversi progetti in ottica Smart City si sono allargati al concetto di Smart Region [11]. Come in Veneto, dove una piattaforma regionale consente anche alle comunità di dimensioni medie e piccole di accedere ai servizi e ai vantaggi tecnologici di città con maggiore capacità di spesa, integrando e analizzando dati di un territorio più ampio, eventi che hanno origine ed effetti al di fuori dei confini cittadini, come la mobilità veicolare o i fenomeni ambientali e sociali.

 

[12]4. Conclusione:  Il Comitato Tecnico Scientifico sulla Transizione Ecologica

La molteplicità dei protagonisti lascia aperto il problema  di chi, infine, indicherà le scelte prioritarie cui allocare le risorse europee guardando agli interessi dei settori che ne trarranno vantaggio e di quelli che ne saranno danneggiati, ad iniziare dall’industria ad iniziare dal settore auto dove,  Un’accelerazione non attentamente ponderata verso la mobilità elettrica che non tenesse conto dei reali effetti sulla riduzione delle emissioni clima-alteranti derivanti dalle diverse tecnologie – valutate nel loro intero ciclo di vita e non solo nell’ultimo miglio –  rischierebbe di far peggiorare  la crisi che s’è abbattuta con la pandemia su questa industria.

E, d’altra parte, la selezione del ‘che fare’ non può limitarsi agli esiti che ne deriverebbero sulla ‘transizione ecologica’, ma dovrebbe tenere conto contestualmente sull’effettivo impatto che avrebbe sulla crescita economica, sulla produzione industriale, sull’occupazione. Opzioni che si traducessero in addizionali importazioni non dovrebbero essere preferite ad altre di origine interna, a parità di impatti climatici.

Non basta, come sta avvenendo, coprirsi dietro le proiezioni contenute nel Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) – che dovrà per altro essere rivisto per tener conto dei più ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’Unione e degli stessi effetti che il PNRR si auspica possa avere sulla crescita economica – per sostenere la validità di una scelta o dell’altra, se non altro perché quel documento programmatico indica gli obiettivi da conseguire più che il modo con cui farlo. Il che dovrebbe avvenire, in sistemi di mercato, nel sostanziale rispetto del principio della neutralità tecnologica, inteso, secondo il dettato comunitario, come garanzia di un ‘ambiente di concorrenza equilibrata e leale’  tra le diverse tecnologie.

Nella versione definitiva del Piano, dimensione tecnica e dimensione politica dovranno necessariamente raccordarsi nella selezione dei singoli progetti in cui dovrà tradursi la sommaria allocazione delle risorse indicata nell’attuale versione.

Aspetto quest’ultimo di cui vi è scarsa consapevolezza, non potendosi pensare che il costo finale delle scelte continui a gravare, come avvenuto sinora, principalmente su famiglie e piccole imprese già penalizzate da un costo dell’energia superiore a quello degli altri paesi europei, con una preoccupante crescita del fenomeno della ‘povertà energetica’ di cittadini non più in grado di soddisfare essenziali esigenze.

Data anche l’urgenza dei tempi, questo Comitato dovrebbe fornire un parere consultivo all’organismo tecnico, o ‘cabina di regia’ che dir si voglia, che le linee guida dell’Unione Europea richiedono obbligatoriamente agli Stati Membri per la stesura e implementazione dei Piani nazionali, Organismo ancora non identificato nel nostro PNRR. Pareri riguardanti un gran numero di complesse questioni tra le quali vale evidenziare: selezione dei progetti che si reputano in grado di garantire il massimo di riduzione delle emissioni al minor costo, tenuto conto delle potenzialità della nostra industria; certificazione della loro eligibilità come effettivamente verdi, alla luce della Tassonomia europea; monitoraggio dell’implementazione dei progetti nel rispetto dei tempi prestabiliti; tempestivi suggerimenti su eventuali correzioni di rotta che si rivelassero necessarie o opportune. Dando conto del tutto all’opinione pubblica in modo esaustivo e trasparente: condizione imprescindibile per ottenerne il più elevato consenso.

Per riuscirvi dovremmo ridisegnare, la parola giusta è rivoluzionare, il futuro energetico, economico, industriale, geopolitico, sociale del nostro paese: dai beni da produrre alle modalità con cui farlo, ai materiali che usiamo, ai modi con cui ci spostiamo.

Si tratta di scelte che sollevano molti problemi e altrettanti interrogativi. Il primo è il seguente: chi indicherà alla politica le soluzioni di breve-medio-termine e le innovazioni tecnologiche di lungo termine che sono in grado di massimizzare la riduzione delle emissioni minimizzandone il costo? Riducendo, per quanto possibile, i costi non recuperabili che deriveranno alle imprese da un’anticipata chiusura dei loro impianti. Come verranno selezionate le numerose proposte avanzate all’amministrazione centrale da una gran moltitudine di soggetti – imprese, enti e comunità locali, organismi di ricerca, movimenti ambientalisti, associazioni di categoria, etc.?

E, d’altra parte, la selezione del ‘che fare’ non può limitarsi agli esiti che ne deriverebbero sulla ‘transizione ecologica’, ma dovrebbe tenere conto contestualmente sull’effettivo impatto che avrebbe sulla crescita economica, sulla produzione industriale, sull’occupazione. Opzioni che se si traducessero in addizionali importazioni non dovrebbero essere preferite ad altre di origine interna, a parità di impatti climatici.

Non basta, come sta avvenendo, coprirsi dietro le proiezioni contenute nel Piano Nazionale Integrato Energia Clima [4] (PNIEC) – che dovrà per altro essere rivisto per tener conto dei più ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’Unione e degli stessi effetti che il PNRR si auspica possa avere sulla crescita economica – per sostenere la validità di una scelta o dell’altra, se non altro perché quel documento programmatico indica gli obiettivi da conseguire più che il modo con cui farlo. Il che dovrebbe avvenire, in sistemi di mercato, nel sostanziale rispetto del principio della neutralità tecnologica.

Vi è da dubitare che a dar risposta all’insieme di questi interrogativi possano essere le pur capaci strutture ministeriali data la molteplicità e diversità degli attori, l’enorme complessità delle scelte da adottare, la diversità delle ottiche da cui esaminarle e ponderarle, i trade-off che esse inevitabilmente sollevano sul piano economico e sociale. Nella versione definitiva del Piano dimensione tecnica e dimensione politica dovranno necessariamente raccordarsi nella selezione dei singoli progetti in cui dovrà tradursi la sommaria allocazione delle risorse indicata nell’attuale versione.

Per riuscirvi – a dar conto della complessità e straordinarietà della sfida – dovremmo ridisegnare, la parola giusta è rivoluzionare, il futuro energetico, economico.

Si tratta di scelte che sollevano molti problemi e altrettanti interrogativi. Il primo è il seguente: chi indicherà alla politica le soluzioni di breve-medio-termine e le innovazioni tecnologiche di lungo termine che sono in grado di massimizzare la riduzione delle emissioni minimizzandone il costo? Riducendo, per quanto possibile, i costi non recuperabili che deriveranno alle imprese da un’anticipata chiusura dei loro impianti. Come verranno selezionate le numerose proposte avanzate all’amministrazione centrale da una gran moltitudine di soggetti – imprese, enti e comunità locali, organismi di ricerca, movimenti ambientalisti, associazioni di categoria, etc.?

Chi, ad esempio, lo si è già detto, dovrà trovare un punto di sintesi tecnico ed economico  se investire o meno sulla tecnologia della carbon capture realizzabile dalle nostre imprese così da ridurre la dipendenza dall’estero per le altre tecnologie rinnovabili?

Perché, non si dimentichi, il Piano è anche atto di politica estera con profonde implicazioni geopolitiche, perché destinato a modificare le nostre relazioni economiche internazionali;  

Si tratta di scelte che sollevano molti problemi e altrettanti interrogativi. Il primo è il seguente: chi indicherà alla politica le soluzioni di breve-medio-termine e le innovazioni tecnologiche di lungo termine che sono in grado di massimizzare la riduzione delle emissioni minimizzandone il costo? Riducendo, per quanto possibile, i costi non recuperabili che deriveranno alle imprese da un’anticipata chiusura dei loro impianti. Come verranno selezionate le numerose proposte avanzate all’amministrazione centrale da una gran moltitudine di soggetti – imprese, enti e comunità locali, organismi di ricerca, movimenti ambientalisti, associazioni di categoria, etc.?

Chi, in conclusione, indicherà le scelte prioritarie cui allocare le risorse europee guardando agli interessi dei settori che ne trarranno vantaggio e di quelli che ne saranno danneggiati, ad iniziare dall’industria automotive che prima della crisi sanitaria occupava nel nostro paese circa trecentomila addetti e fatturava oltre cento miliardi di euro tra attività dirette e indirette? Un’accelerazione non attentamente ponderata verso la mobilità elettrica che non tenesse conto dei reali effetti sulla riduzione delle emissioni clima-alteranti derivanti dalle diverse tecnologie – valutate nel loro intero ciclo di vita – rischierebbe di far precipitare la crisi che s’è abbattuta con la pandemia su questa industria.

E, d’altra parte, la selezione del ‘che fare’ non può limitarsi agli esiti che ne deriverebbero sulla ‘transizione ecologica’, ma dovrebbe tenere conto contestualmente sull’effettivo impatto che avrebbe sulla crescita economica, sulla produzione industriale, sull’occupazione. Opzioni che si traducessero in addizionali importazioni non dovrebbero essere preferite ad altre di origine interna, a parità di impatti climatici.

Non basta, come sta avvenendo, coprirsi dietro le proiezioni contenute nel Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) – che dovrà per altro essere rivisto per tener conto dei più ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’Unione e degli stessi effetti che il PNRR si auspica possa avere sulla crescita economica – per sostenere la validità di una scelta o dell’altra, se non altro perché quel documento programmatico indica gli obiettivi da conseguire più che il modo con cui farlo. Il che dovrebbe avvenire, in sistemi di mercato, nel sostanziale rispetto del principio della neutralità tecnologica, se indicata nell’attuale versione.

Alla luce di tutto ciò, ancora una volta, potrebbe ritenersi opportuno che le strutture ministeriali e i decisori politici siano affiancati da un organismo consultivo – un Comitato Tecnico Scientifico sulla Transizione effettivamente indipendente.

Un Comitato in grado di individuare punti di sintesi tra problematiche talora divergenti d’ordine economico, energetico, ambientale, sociale. Aspetto quest’ultimo di cui vi è scarsa consapevolezza, non potendosi pensare che il costo finale delle scelte continui a gravare, come avvenuto sinora, principalmente su famiglie e piccole imprese già penalizzate da un costo dell’energia superiore a quello degli altri paesi europei, con una preoccupante crescita del fenomeno della ‘povertà energetica’ di cittadini non più in grado di soddisfare essenziali esigenze.

Data anche l’urgenza dei tempi, questo Comitato dovrebbe fornire un parere consultivo all’organismo tecnico, o ‘cabina di regia’ : Organismo ancora non identificato nel nostro PNRR. Pareri riguardanti un gran numero di complesse questioni. Dando conto del tutto all’opinione pubblica in modo esaustivo e trasparente: condizione imprescindibile per ottenerne il più elevato consenso.

La decisione è stata presa nell’ambito del ‘Provisional agreement on the European Climate Law” raggiunto da Consiglio e Parlamento europei, che ha sancito due obiettivi:

Che anche le nostre massime istituzioni adottino questa best practice sarebbe di grande ausilio per rafforzare la governance del Piano relativamente alla transizione ecologica e favorire il buon esito delle sue scelte.

Strumenti digitali efficaci e accessibili significano innanzitutto diritti dei cittadini, servizi efficienti e sviluppo sostenibile [7]. L’emergenza sanitaria ha determinato l’accelerazione di alcuni processi, sottolineato nuovi bisogni e ha senz’altro reso più evidente quanto l’innovazione aiuti a garantire continuità dei servizi.