Articolo di Romano Prodi su Il Sole 24 Ore del 22 maggio 2010
Quando è stato creato l’euro, tutti sapevano che, prima o poi, si sarebbe verificata una crisi. Era inevitabile, infatti, che nell’ambito di un progetto così ambizioso e senza precedenti in alcuni paesi (perfino nei più virtuosi) si sarebbe commesso qualche errore o si sarebbe verificato un evento imprevisto. Altrettanto chiaro, come ho detto anche in passato, è che il Patto di stabilità e di crescita era “stupido”, non perché avesse finalità sbagliate, ma perché si basava su parametri meramente matematici, senza potere discrezionale alcuno, senza strumento politico in grado di farlo rispettare. Germania e Francia sono stati i primi paesi a violarlo, quantunque non in modo destabilizzante: i loro ministri delle Finanze hanno semplicemente deciso di non tener conto delle obiezioni della Commissione europea (verosimilmente perché erano “troppo grandi per poter fallire”).
A causa delle difficoltà politiche, non è stato possibile proteggere l’euro. Per anni ho messo in guardia dal fatto che, benché non sia imputabile a nessuno in particolare, si sarebbero potuti verificare alcuni eventi straordinari che avrebbero costretto a una coordinazione condivisa delle politiche fiscali. Poi è subentrata la crisi greca, seria per ciò che riguarda le violazioni che l’hanno provocata, ma facilmente risolvibile, se si tiene conto delle modeste dimensioni dell’economia di quel paese.
Nondimeno è venuto a mancare un intervento tempestivo, che di fatto ha reso impossibile raggiungere un accordo in tempi rapidi in materia di disciplina fiscale. Le elezioni nello stato tedesco del Nord Reno-Westfalia hanno differito la presa di coscienza che la crisi greca rappresentava un’opportunità notevole per prendere i provvedimenti necessari in direzione di una governance economica che non era possibile quando fu creato l’euro. Ciò comporta la creazione di nuove istituzioni o enti che possano monitorare i budget degli stati membri, imporre la disciplina fiscale e sanzioni per chi viola ripetutamente le normative in questione.
Molti paesi, tuttavia, ancora adesso non sono disponibili a effettuare un cambiamento così radicale in materia di sovranità economica, anche se un’eventuale crisi (e non necessariamente quella greca) è stata argomento al centro di ricorrenti discussioni negli ambienti politici e universitari.
Ci troviamo pertanto a un bivio. L’unica alternativa a una maggiore coordinazione delle politiche economiche è lo scioglimento dell’euro: ciò infliggerebbe però un colpo devastante al progetto europeo e, per la Germania, sarebbe particolarmente rovinoso. Malgrado la ristrutturazione avvenuta negli ultimi dieci anni, la competitività tedesca sarebbe fortemente ridimensionata da svalutazioni monetarie nei paesi periferici della zona euro. Di conseguenza, le sue eccedenze commerciali si prosciugherebbero in poco tempo.
A suo tempo mi adoperai moltissimo per far entrare l’Italia nella zona euro, per dare al mio paese la disciplina di cui necessitava, per porre fine alla sfilza di continue svalutazioni monetarie che avevano reso fragile la sua economia e pregiudicato le sue finanze pubbliche, malgrado la presenza di un forte settore manifatturiero.
Considero pertanto le recenti decisioni prese a Bruxelles un passo importantissimo in direzione di una creazione graduale del federalismo fiscale europeo. Mettere insieme le risorse dei paesi dell’Eurozona e della Commissione con quelle della Bce è un progresso notevole rispetto al Patto di stabilità e di crescita. Di fatto, la creazione di enti in grado di operare preventivamente e intervenire con successo implicherebbe che il Patto è stato ormai sostituito da un coordinamento più efficace.
La parte più rilevante del nuovo Fondo di stabilizzazione europea – del valore di 440 miliardi di euro – è formata dai fondi nazionali di 16 paesi della zona euro ed è limitata a tre anni; ma noi tutti sappiamo quanto sia difficile tirarsi indietro rispetto a un obbligo simile.
Sebbene le divisioni politiche e i ritardi nel processo decisionale abbiano indebolito fortemente l’euro e innescato grande scompiglio nei mercati, la decisione di puntellarlo con una collaborazione finanziaria vicendevole è un considerevole passo avanti.
Incertezze continueranno a esserci, perché molti aspetti operativi legati all’attuazione delle decisioni prese hanno ambiti e contorni alquanto ampi. Tuttavia, la Bce, la Commissione e la maggior parte dei paesi europei hanno ricevuto poteri più forti, incarichi e responsabilità maggiori e di più vasta portata rispetto al passato, e i mercati ne terranno sicuramente conto.
Resta da capire come si concretizzeranno questi poteri, nel momento in cui vari paesi devono affrontare l’irrequietezza politica e in qualche caso veri e propri disordini tra la popolazione in conseguenza dei provvedimenti d’austerità varati. Nondimeno, anche se questo intervento di salvataggio è arrivato in ritardo rispetto a quanto sperato, con una spesa estremamente più alta, dopo che è stato arrecato un danno all’immagine dell’Europa, adesso l’Unione Europea ha imboccato la rotta giusta. L’accordo di Bruxelles dimostra che non esiste alternativa positiva all’euro.