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19

Jul

An european battle: Internet as a human right

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Gli appelli Lettere all’Europa
Prodi scrive a Sassoli: “La connessione web sia un diritto umano”
Richiesta di intervento alle Nazioni unite per l’accesso a Internet: “Bisogna superare le diseguaglianze tra gli studenti”

Articolo di Giovanna Casadio su La Repubblica del 17 luglio 2020

La missiva dell’ex premier al presidente del Parlamento europeo
ROMA – “Siamo passisti, non velocisti, ma sulla connessione Internet come diritto umano la spunteremo “. Usa la metafora ciclistica Romano Prodi. Perché l’ultima battaglia che gli sta a cuore richiede fiato e resistenza, però è una delle priorità che – dice l’ex premier – “questa pandemia, la disgrazia che ci ha colpiti, ha reso ancora più evidente “. La diseguaglianza passa ormai anche da qui: dall’impossibilità di connessione. Qualcosa si muove. Il segretario Pd Nicola Zingaretti ha annunciato che uno dei punti di “Next generation Italia“, il piano per i giovani, sarà proprio la richiesta di inserire in Costituzione il diritto alla connessione. E Prodi lo ha messo nero su bianco in un documento ampio e pieno di riferimenti indirizzato al presidente dell’europarlamento Davide Sassoli, affinché sia il Parlamento europeo a farsi promotore presso le Nazioni Unite di questo indispensabile asset per il mondo che verrà. O meglio, che già è. “Determinante per la vita è la connessione, come l’acqua o il cibo. Forse esagero un po’, ma la connessione a internet ha un forte impatto su attività come l’istruzione, la sanità, la lotta alla povertà, la possibilità di creare lavoro”. Ecco, l’istruzione è in cima ai pensieri del Professore. “Scoppiato il Covid, si è reso evidente il problema del diritto umano: di questo appunto stiamo parlando. Ci sono bambini “staccati” che non hanno quindi gli stessi diritti di coloro che hanno la connessione”, rilancia. Nel documento il significato e le conseguenze della mancanza di connessione per l’educazione sono indicati come “esempio lampante”. Dice l’ex premier ed ex presidente della commissione Ue: “Sei meno capace di esprimerti se non sei interconnesso”. La “Internet connectivity” come diritto umano è la posta in gioco oggi. Ma la scommessa parte da lontano, dall’autunno del 2017, quando la Foundation of Worldwide cooperation, presieduta da Prodi, organizza una discussione con un nutrito gruppo di istituzioni – dalla Columbia University all’Accademia pontificia, con Nicholas Negroponte e intellettuali, informatici, economisti, Facebook- ponendo al centro il dossier sulla connessione alla rete. Solo tre anni fa, poco più di mille giorni, e quella che pareva ai più una discussione accademica diventa parte della vita quotidiana. Le famiglie italiane sono state alle prese in questi mesi di lungo lockdown con le lezioni telematiche dei figli, i lavoratori con lo smart working: la differenza di opportunità è passata da qui, e si è squadernata davanti ai nostri occhi. Nella commissione per i diritti umani dell’Onu si è parlato della “internet connectivity”. Spetta adesso all’europarlamento fare la sua parte, avendo chiaro che l’aspetto tecnologico va esaminato dal punto di vista “economico, umanitario, etico, legale, filosofico ” e che non si sta parlando di business, bensì di diritti. La miccia di tutto questo è stata una analisi sulla diversità in Africa, tra chi è connesso e chi non lo è, e si è approdati ai giorni nostri e alla nostra vita. Importantissimo è il pronunciamento europeo, che suona come indirizzo per i 27 Paesi Ue. “Aiuta a creare una coscienza collettiva, a partire da subito”, ribadisce Prodi. Certo occorre la consapevolezza degli interessi economici fortissimi che si muovono attorno alla rete. Pochi giorni fa la Gran Bretagna ha vietato i 5G cinesi. Però qui si sta parlando di diritti. E c’è da sgombrare il campo da uno dei timori che frenano il riconoscimento della connessione come diritto umano: che cioè la si leghi alla esclusiva gratuità della rete. Non è così, spiega Prodi. “Ci saranno casi di accesso gratuito, ma il mercato farà la sua strada”.

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La risposta del presidente dell’Europarlamento a Romano Prodi
Sassoli: “Il diritto al web sia una battaglia europea”

Articolo di David Sassoli su La Repubblica del 19 luglio 2020

Caro Direttore, la lettera che il presidente Romano Prodi ha voluto rivolgermi solleva una questione centrale per il futuro della democrazia e del modello sociale europeo. Sono convinto anch’ io che l’Unione europea possa svolgere un ruolo di guida nella definizione di standard mondiali per un accesso alla Rete uguale per tutti contribuendo, nel contesto multilaterale, alla discussione avviata dalle Nazioni Unite. Mai come in questi mesi di lockdown migliaia di persone in Europa e nel mondo hanno dovuto lavorare, studiare, acquistare cibo, comunicare con le persone care utilizzando una connessione Internet. Al tempo stesso, l’impossibilità di accesso alla rete, per ragioni geografiche, economiche o sociali, si è rivelata un pesante elemento di marginalizzazione. Per molti bambini non avere accesso a Internet ha significato in questi lunghi mesi vedersi negare il diritto fondamentale all’istruzione e alla conoscenza. Ma non solo. Per tante donne e uomini, l’impossibilità a connettersi ha prodotto mancanza di informazioni e messo a rischio la loro vita. Internet, così come lo conosciamo, si basa sul principio innovatore e profondamente democratico della neutralità della rete. Questo principio stabilisce che tutti i bit che circolano in Internet siano trattati allo stesso modo, senza discriminazioni. Non possono essere rallentati o avere priorità a seconda del potere d’acquisto di chi li emette o ne è destinatario. In questo momento l’Unione Europea è il principale attore globale che garantisce per legge questo principio così fondamentale della nostra epoca. Però non basta. Perché non sia fonte di disuguaglianza, è altrettanto necessario che l’accesso alla Rete si basi su regole di equità. Come nel caso dell’energia elettrica o di altri servizi considerati essenziali, l’impossibilità di accedere a Internet – il cosiddetto divario digitale – non ha soltanto impatto sul lavoro, l’impresa, lo sviluppo scientifico, sociale e culturale. Altrettanto forti sono gli effetti sulla vita quotidiana delle persone, negli aspetti anche intimi del loro benessere e della loro felicità. L’uguaglianza non è un punto di partenza, ma un obbiettivo. Siamo abituati a pensare alla Rete troppo in termini di piattaforme e algoritmi e meno in chiave di diritti. Abbiamo bisogno di offrire, invece, risposte democratiche a domande che appaiono tecniche quando in realtà non lo sono. Già nel 2016 il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu ha realizzato un passo importante adottando la Risoluzione sulla Promozione, la protezione e l’esercizio dei diritti umani su Internet. Una decisione volta a proteggere i diritti delle persone che usano la Rete, invitando gli Stati ad adottare politiche pubbliche per un accesso universale a Internet. Un passaggio importante arrivato a seguito dell’iniziativa pionieristica dell’amministrazione Obama che proclamò nel 2014 Internet “servizio pubblico”. Una decisone poi negata 3 anni dopo dalla presidenza Trump con l’abrogazione della norma che sanciva la neutralità della Rete. Queste circostanze lasciano ora all’Unione Europea la responsabilità di essere il punto di riferimento per definire i diritti di accesso. Il Covid19 ha reso palese qualcosa di già evidente: la digitalizzazione non aspetta. La questione non è se avverrà o meno, ma se sarà per tutti. Dobbiamo sbarazzarci dei luoghi comuni, adottare un atteggiamento razionale, impegnare le istituzioni a guidare questo cambiamento. Non possiamo continuare ad oscillare tra la fede incondizionata nella tecnologia e l’oscurantismo di coloro che attribuiscono al digitale tutti i problemi del nostro tempo. Internet non è solo tecnologia, ma è l’epoca in cui viviamo. È al pari di quanto avvenne con la stampa che non fu solo l’invenzione di una macchina, ma lo strumento per l’accesso all’informazione e alla formazione delle moderne opinioni pubbliche. Non è necessario conoscere la tecnologia con cui sono fatti i libri per trarre beneficio da ciò che contengono. É un inganno far credere che le persone non possano approfittare in modo equo e dignitoso di ciò che il digitale offre se non conoscono la sua tecnologia. Questo porta ad ingiustizie. Non si tratta di tempestare di App gli utenti, finché diventino clienti fedeli o estenuati si ritraggano abbandonando l’uso di questi strumenti. Il punto è assicurare trasparenza, informazione in modo che ognuno abbia la capacità di capire e decidere. Per questo è indispensabile un nuovo protagonismo delle istituzioni pubbliche e un dialogo intenso con le imprese e i cittadini per promuovere logiche distributive e non monopolistiche. Questo ci permetterà di prendere iniziative, di coltivare le nostre conoscenze, di ottenere che i governi rendano conto delle loro decisioni o di verificare che la digitalizzazione non violi la libertà personale con l’estrazione e la privatizzazione dei dati. L’accesso alla rete come nuovo diritto umano. Il Parlamento europeo è pronto a questa sfida. Nell’agenda europea due appuntamenti sono già indicati: la discussione dopo l’estate sulla proposta della Commissione UE di un quadro legislativo sui servizi digitali (Digital Services Act) e il dibattito che si svilupperà in seno alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Dobbiamo scrivere il nostro tempo. Per questo serve indicare la strada verso una digitalizzazione a misura di umanità. L’autore è presidente del Palamento Europeo

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31

Jan

Connettività come diritto Umano: Prodi incontra Michelle Bachelet, Commissario speciale ONU per i Diritti Umani

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Il professor Prodi , ha incontrato a Ginevra Michelle Bachelet ( già Presidente del Cile) neoeletta Commissario Speciale ONU per i Diritti Umani.

Oltre a una panoramica dei gravi problemi di ‘diritti umani’ in tante parti del mondo,  non ultima certamente l’are del Mediterraneo, l’incontro è’ servito ad aggiornare il nuovo Commissario su un argomento sempre più’ importante in tutto il mondo, quello della non uniforme diffusione di internet a livello globale.

Internet si sta ora spostando dal servizio commerciale alla pubblica utilità, ma oltre tre miliardi di persone non hanno ancora alcuna connessione. Il collegamento di questi tre miliardi rappresenta una sfida non solo per questioni legali (che includono la privacy e le licenze) ma anche umane quali la necessità’ di regole precise per la protezione di minori e il coinvolgimento delle donne

Da due anni la Fondazione per la Collaborazione tra i popoli , presieduta dal professor Prodi , in collaborazione con la Accademia Pontificia, sta promuovendo una azione specifica verso le Nazioni Unite per arrivare alla attribuzione del titolo di DIRITTO UMANO. alla CONNETTIVITÀ INTERNET.

Dopo una Conferenza specifica sul tema a Roma titolata ‘INTERNET CONNECTIVITY AS A HUMAN RIGHT’ nel 2017 , cui hanno partecipato i piu grandi esperti mondiali da Nicholas Negroponte a Jeffrey SACHS,  le Nazioni Unite con ITU e UN Women, il Prof Prodi ha indirizzato la Fondazione ad una intensa attività’ di lobby nei confronti proprio delle Nazioni Unite  con un grande sostegno da parte del nostro Rappresentante permanente amb. Sebastiano Cardi.

Tale attività e’ culminata nella Convocazione di un Evento Speciale in occasione della Assemblea Generale ONU del Settembre 2018 centrato sul tema della Connettività’ come diritto umano .
In quei giorni Michelle Bachelet non ancora Commissario Speciale per i Diritti Umani , non era ancora stata in grado di partecipare.

La visita a Ginevra del Prof Prodi ha avuto come primo obiettivo quello di raccogliere il suo consenso sul lavoro svolto finora è di ascoltarne i consigli sul come portarlo a termine in tempi rapidi.

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17

Feb

Incontro: “Dialoghi sul Mondo 2018”

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

La Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli
presenta
“Dialoghi sul Mondo 2018”
Lunedì, 19 Febbraio ore 10:00
Via Santo Stefano 140 – Bologna

Bologna, 16 febbraio 2018

La Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli organizza a Bologna la conferenza stampa di presentazione di “Dialoghi sul Mondo 2018”. Parteciperanno il Professor Romano Prodi, presidente della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli e il Professor Antonio Fiori, dell’ Università di Bologna e della Korea Univerity di Seul.

Osservare e studiare ciò che accade nel mondo offre una visione utile e necessaria per la comprensione e la ricerca di soluzioni ai problemi anche nazionali. Esperti e studiosi si alterneranno, a partire dal 21 febbraio, in un serie di incontri pensati nella forma di dialogo con il Professor Romano Prodi. Si comincia con la Korea, sarà poi la volta di Russia, Cina, Stati Uniti e infine Europa.

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11

Oct

‘La connettività a Internet come diritto umano’

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

‘La connettività a Internet come diritto umano’ Una giornata di studio

Roma -10 ottobre 2017, La connettività a Internet come diritto umano è il titolo della giornata di studio, dibattito e proposte che si è tenuta oggi all’Accademia Pontificia, Casina Pio IV in Vaticano.

Ad organizzarla sono state la Pontificia Accademia delle Scienze e la Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli, presieduta da Romano Prodi. Entrambe le istituzioni hanno dedicato particolare attenzione, negli ultimi anni, al ruolo della connettività Internet per promuovere lo sviluppo, la crescita della conoscenza e la pace.

La connettività è lungi dall’essere universale. Oltre 3 miliardi di persone non ne possono beneficiare. Le due istituzioni hanno deciso di collaborare e proporre una conferenza di alto livello a Roma per promuovere la connettività Internet come un diritto umano. Con la speranza di offrire un contributo affinché cresca, a livello globale, l’interesse al tema della ‘connettività come diritto umano’.

Il 6 ottobre scorso, sull’Osservatore Romano, in una pagina dedicata a Internet e i bambini, Papa Francesco ha scritto: “Noi condividiamo la visione di un Internet che sia accessibile a tutti”.

Nel corso della giornata di studio sono state affrontate le questioni contenute nel programma e vi hanno partecipato grandi esperti quali Nicholas Negroponte del MIT e Jeffrey Sachs della Columbia University.

Scarica il programma

Scarica la Dichiarazione finale congiunta della Pontificia Accademia delle Scienze e della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli

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25

Nov

In Africa, povertà e bassi livelli di sanità e istruzione causati dalla cattiva governance

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Africa: cattiva governance e diseguaglianze sociali tra gli ostacoli allo sviluppo, i risultati di un convegno a Roma

Roma, 25 nov – (Agenzia Nova) – Importante crescita economica ma anche forti diseguaglianze sociali, cattiva governance e scarso sviluppo di alcuni settori vitali per l’economia dell’Africa. E’ un quadro piuttosto fosco quello dipinto oggi nel corso del convegno “Dinamiche e prospettive dell’africa sub-sahariana“, organizzato dal Circolo studi diplomatici di Roma. Ad aprire l’incontro e’ stato l’ex presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi di recente inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sahel, il quale ha tracciato un quadro dei fattori che hanno caratterizzato il boom economico del continente africano negli ultimi anni, soffermandosi poi sui punti di criticita’ che tuttora ostacolano lo sviluppo sociale, oltre che economico, dell’area. Al convegno sono intervenuti, tra gli altri, l’ambasciatore Claudio Pacifico e l’ambasciatore Maurizio Melani, ex direttore generale per l’Africa e la promozione del sistema paese. L’evento e’ stato realizzato in collaborazione con il Centro studi e ricerche Idos e il Centro piemontese di studi africani.

Sul continente, ha spiegato l’ex premier Prodi, pesano problemi insoluti come la suddivisone dei confini ad opera delle ex potenze coloniali, che ha fin da subito provocato conflitti nel continente. Oggi “tali conflitti hanno assunto una dimensione nazionale, con conseguenze extra-nazionali”, ha spiegato l’ex premier citando la guerra in Libia, che “ha avuto conseguenze disastrose nell’area del Sahel“. In Africa, inoltre, si registra ancora un alto tasso di poverta’: un terzo delle persone vive al di sotto della soglia di poverta’, mentre la distribuzione della ricchezza e’ fortemente ineguale. La concentrazione diseguale del beni, ha aggiunto Prodi, e’ piu’ forte che in qualsiasi altro continente.

Tra gli altri elementi di maggiore ostacolo alla crescita, secondo l’ex presidente del Consiglio, vi sono inoltre la carenza di infrastrutture e i bassi livelli che si registrano nei settori della sanita’ e dell’istruzione. Un fattore, quest’ultimo, che porta numerosi giovani a emigrare. In riferimento allo sviluppo economico registrato negli ultimi anni, Prodi ha sottolineato come questo sia ancora fortemente legato al settore delle materie prime; un dato che rappresenta un forte ostacolo alla crescita, visto il recente calo dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali. Il boom economico, ha aggiunto Prodi, e’ inoltre stato fortemente indotto dalla forte presenza cinese nel continente. Pechino “ha esportato in Africa capitali, tecnologie e lavoratori come nessun altro paese al mondo”, ha detto Prodi, osservando che nonostante cio’ “le rimesse dei migranti hanno ancora un peso maggiore sull’economia rispetto agli investimenti esteri diretti”

Sul limitato sviluppo economico africano, ha osservato l’ex premier, pesano anche l’espansione del terrorismo e il conseguente aumento del fenomeno migratorio, oltre ai problemi legati alla cattiva governance. Nel continente, ha aggiunto, “vige ancora una concezione patrimoniale dello Stato“. L’azione dell’Unione europea in Africa e’ invece “ancora lenta a causa della frammentazione della stessa Ue”, ha concluso Prodi.

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23

Nov

Cosa andiamo a bombardare? Occorre un forte accordo con la Russia

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Prodi: Cosa andiamo a bombardare? C’è della gente nelle città, non solo terroristi

Intervista di Giovanni Minoli a Romano Prodi su Mix24 del 23 novembre 2015

In Siria bombardare anche noi o no se si fa la coalizione? “Guardi la Germania, voglio dire: che cosa andiamo a bombardare?”. Così risponde l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi a Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24.
Quindi la posizione del governo italiano è giusta?
“Sì”, risponde l’ex premier che conclude con un invito: “Restiamo seri, quando si bombardano le città si fa anche danno. C’è della gente nelle città, non sono mica tutti terroristi, lo abbiamo visto anche noi nella Seconda Guerra mondiale”.

Bisogna fidarsi di Putin per vincere la guerra in Siria?

“In politica non ci si fida neanche della propria mamma, però è interesse avere rapporti stretti, duraturi e forti con Putin, e quando dico con Putin, dico con la Russia”

Putin dice che bisogna unirsi come contro Hitler, è uno scenario simile?

“Siamo in uno scenario completamente diverso in cui lei non può avere un fronte con i carri armati, ma deve avere un coordinamento“.

L’Europa può continuare a fare la guerra fredda a Putin con le sanzioni e poi sperare in lui contro l’Isis?

“No. Dobbiamo essere fedeli alla NATO, ma la politica della NATO che noi dobbiamo spingere è quella di non provocare ulteriori tensioni con Mosca perché non è nostro interesse e perché nel lungo periodo ci sono delle possibilità di integrazioni anzi delle necessità di integrazioni con la Russia. L’idea di portare la NATO ai confini della Russia non è un’idea politicamente intelligente”.

“L’ultimo atto del mio governo è stato insieme a Francia e Germania di mettere il veto sull’entrata dell’Ucraina e della Georgia nella NATO perché era un’ inutile provocazione che Bush voleva ma che non aveva senso. Noi abbiamo delle integrazioni forti con la Russia, l’America non le ha”.

A proposito dell’atteggiamento ambiguo della Turchia che attacca i Curdi che combattono l’Isis, la Nato non dovrebbe sanzionarla?

“No perché la Turchia è paese della NATO”. Prodi sottolinea però che la NATO potrebbe sanzionare il paese di Erdogan ma “per fare ciò ci vuole una situazione internazionale completamente chiara e completamente controllata che i dissidi attuali impediscono”.

“Putin ad Antalya non ha fatto un’accusa alla Turchia, ha fatto un’accusa a tanti Paesi, tra cui la Turchia, è una cosa molto più interessante.” Entrando nel merito del vertice di Antalya commenta: “Che siano quaranta o che siano dieci i Paesi che finanziano l’ISIS non cambia niente. Diciamo la verità, sul terrorismo c’è stata in questi anni un’ambiguità terribile. Nella mia esperienza nel Sahel, nell’Africa, tutti dicevano che arrivavano aiuti dai Paesi del Golfo, indicavano come, quando, perché. Naturalmente non è che io sia andato a visitare se arrivavano i Tupolev nella sabbia o meno, ma era, diciamo così, conoscenza comune, che ci fossero parecchi Paesi in cui il governo si schierava apertamente contro il terrorismo e poi fondazioni, associazioni, gruppi d’interesse fornivano armi o più spesso denaro, ecco”.

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21

Nov

Un accordo politico fra tutte le grandi potenze deve precedere l’azione militare contro l’ISIS

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Prodi: l’Europa non c’è, vincono gli interessi nazionali

Intervista di Nando Santonastaso a Romano Prodi su Il Mattino del 21 novembre 2015

In quell’albergo di Bamako era sceso spesso anche lui, Romano Prodi, inviato dell’Onu in una delle zone più calde dell’Africa. «L’ultima volta circa un anno e mezzo fa – ricorda il Professore -: ce ne sono solo due nella capitale del Mali, quello preso d’assalto ha sempre ospitato non solo viaggiatori ma anche delegazioni diplomatiche, equipaggi di aerei francesi, funzionari di altri Stati. Alberghi un po’ particolari, insomma, dove si tengono anche convegni».

Ha mai avvertito il pericolo, Professore?

«Guardi che ogni volta che sono arrivato lì c’erano sempre camionette e blindati di guardia all’albergo, con cannonicini davanti e dietro. La sicurezza era evidente, i controlli molto forti».

C’erano solo soldati del Mali di guardia?

«No, mi sembra di avere notato anche personale delle Nazioni unite».

Lei non è rimasto sorpreso dell’attacco terrorista?

«No, purtroppo. La situazione del Mali è da tempo al centro di una serie di allarmi e di preoccupazioni a dir poco fondati. Nell’area del Nord del Paese, tra Timbuctu e Kigali il controllo non è delle forze armate del Paese. Il territorio è nelle mani di chi capita. Le città sono in mano ai francesi ma da quando è cominciata la calata dal Nord del Paese i rischi sono aumentati sensibilmente. Ecco perché l’attacco all’albergo non è stato per me una novità».

Lei ne aveva parlato anche con l’allora presidente dell’Egitto, Morsi: che cosa le aveva detto?

«Morsi, che era contro l’intervento francese, mi spiegò che la sua preoccupazione era che i terroristi del Sahel si unissero con quelli del Sinai: vedeva già in quel momento un legame».

Vuol dire che c’è una regia unica dietro gli attacchi terroristici in Europa e in Africa?

«Non consideriamo questi episodi come interamente staccati tra di loro. Può darsi che ognuno abbia preso l’iniziativa ma c’è certamente un coro che li guida. Forse non una regia unica ma qualcosa che lega i vari gruppi secondo me esiste».

Possibile, Professore, che dopo il massacro di Parigi l’intelligence francese non abbia saputo prevenire neanche l’attacco all’albergo?

«Può darsi che qualcosa anche in questo caso non abbia funzionato, che ci siano state delle inefficienze. Ma lei crede davvero che sia possibile prevenire situazioni come questa quando mezzo Paese è in mano al terrorismo? Appena ho letto le notizie dell’assalto il mio primo pensiero è stato proprio questo: quando uno Stato è in queste condizioni ci si deve aspettare di tutto».

Parliamo della risposta europea al terrorismo: ieri i ministro Ue dell’Interno e della Giustizia hanno deciso di rafforzare i controlli alle frontiere e di non fare eccezioni nemmeno per i cittadini comunitari: che ne pensa? È il primo passo per rivedere uno dei capisaldi dell’Unione europea, ovvero la libera circolazione?

«In tutta sincerità io speravo di leggere ben altro. E cioè che si desse la priorità ad un aumento della cooperazione tra polizie e servizi di intelligence dei vari Paesi. Credevo, e resto della mia idea, che fosse proprio questo l’obiettivo primario. Leggendo la stampa francese, leggendo tutto quello che tragicamente è accaduto a Parigi si è rafforzata la convinzione che la criticità più grave era soprattutto una: la mancanza di uno stretto coordinamento tra le forze di polizia e i servizi di informazione. E pensavo che sarebbero arrivate subito le risposte più urgenti e necessarie».

E invece…

«E invece mi pare che siamo ancora prigionieri del fatto che la sicurezza nazionale si difenda di più isolandosi che non collaborando con gli altri Paesi dell’Unione».

In altri tempi questa reazione avrebbe dato ulteriore fiato ai movimenti nazionalisti e populisti che cercano di erodere il senso dell’Europa unita.

«In questa fase nessuno può peggiorare la situazione. Piuttosto io vedo la possibilità, proprio adesso, di una riflessione seria da parte di tutti e non giochini personali. Certamente osservo anche io che sono le politiche nazionali a guidare l’Europa e la cosa non può rallegrare chi ha lavorato per costruire l’unità del continente. Diciamo la verità, il ruolo dell’Europa è stato fin qui inesistente».

Lei ritiene necessaria o inutile una missione militare internazionale contro il Califfato che preveda anche un intervento di terra?

«Solo per discutere di questo tema occorrerebbe un’intervista a parte. La riflessione più immediata è che su questo problema della Siria è inutile inventare cose nuove. Ci vuole una forte collaborazione tra le grandi potenze, dopo di che il Califfato si sconfigge in fretta. Per questo la Russia è fondamentale. Del resto basta vedere la cartina geografica con tutti i pozzi di petrolio da cui il Califfato prende i soldi o seguire attraverso Google i camion e le autocisterne che trasportano il greggio per avere unì’idea di dove intervenire. Quindi il problema non è se serve o meno un’azione militare anche di terra: la priorità è la ricerca di un accordo politico che è il presupposto fondamentale di ulteriori interventi. Perché questi possano avere una qualche probabilità di successo è necessario che siano sorretti da quell’intesa».

In Italia, e non solo, c’è chi discute se è proprio necessario mantenere da parte della Chiesa l’impegno per il Giubileo: lei crede che siano preoccupazioni eccessive, professore?

«Ma stiamo scherzando? Non si può nemmeno pensare di sospendere il Giubileo: ma cosa diremmo, che l’anno santo della Chiesa cattolica dipende dal terrorismo islamico?».

Molte iniziative sono state annunciate dai musulmani che vivono in Italia: marce, preghiere, mobilitazioni. È un segnale incoraggiante, Professore?

«La mobilitazione degli islamici è sicuramente incoraggiante. Vediamo se sarà seguita da atteggiamenti dello stesso spessore e non si limiti a un momento solo e poi basta».

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21

Nov

Per togliere acqua al terrorismo basterebbe colpire i pozzi petroliferi

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Attacco Globale

Intervista di Massimo Giannini a Romano Prodi a Speciale Ballarò del 20 novembre 2015

E’ in collegamento per noi da Bologna il Presidente Romano Prodi. E’ molto importante la testimonianza del presidente Prodi perchè è stato inviato ONU nel Mali a Bamako. Perchè quel che succede in Mali ci riguarda come occidente e come Europei?

Il Mali è Francia, per la cultura, la lingua, il rapporto economico. Io collego in modo netto questo episodio a quello di Parigi in modo netto. Non che ci sia una regia unica, ma ci sono coordinamenti e risposte che fra di loro interagiscono. Il Mali, inoltre, è particolarmente delicato: è all’incrocio fra due forze terroristiche. Da un lato, da nord, ci sono i terroristi che si sono formati soprattutto dopo la guerra in Libia, mentre a sud abbiamo il grande terrorismo di Boko Haram che viene dalla Nigeria ma che negli ultimi tempi si è sparso in tutte le aree sotto il Sahara. Quindi è una zona tipicamente francese, ma in cui diventa strategico l’incontro di due diversi terrorismi. Quindi fa parte di una strategia generale del terrorismo.

In questo senso, il Paese, pur essendo povero, pur essendo veramente un Paese particolarmente sfortunato, è un Paese di una enorme importanza. Un’altra caratteristica che ha è che questo è un Paese giovanissimo: l’età mediana del Mali è di 18 anni. In Italia è di 46 anni, un mondo assolutamente diverso dal nostro con una forte povertà.

Speciale Ballarò del 20 Nov 2015 – Mali e Terrorismo from Romano Prodi on Vimeo.

Questa puntata l’abbiamo intitolata “Attacco globale” come stiamo rispondendo e come si può rispondere come Occidente, sia dal punto di vista militare che culturale ?

Dal punto di vista culturale direi che questi attentati ci hanno più unito che non diviso. La risposta di solidarietà e di emozione che è parte della cultura è stata estremamente forte e senza sbavature. Anche perchè ha colpito in modo indifferenziato. Tutti si sentono a rischio.

Dal punto di vista militare è più coordinato il terrorismo che la lotta contro il terrorismo. Il vero problema è che ci sono finanziatori semiufficiali in diversi paesi del Golfo, una vendita di petrolio che è non dico libera ma quasi, ci sono proventi dal commercio della droga, c’è tutta un’acqua in cui il terrorismo nuota e rispetto alla quale non c’è una lotta comune.

Il problema è o c’e’ un accordo che metta anche in disciplina i paesi che fanno il doppio gioco in cui il governo dice di lottare contro il terrorismo ma poi le fondazioni e le associazioni lo finanziano. Tutti questi Paesi, Qatar, Arabia saudita, tutti i Paesi del Golfo hanno al loro interno delle profonde infiltrazioni che sono presenti da generazioni di derivazione generalemente wahabita in cui il radicalismo è veramente parte della vita del Paese. Queste si esprimono in finanziamenti al terrorismo.

Facciamo bene a continuare i raid aerei?

Credo che questi bombardamenti possano veramente avere indebolito una parte delle forze terroristiche, ma non li capisco fino in fondo. Esiste la carta geografica di tutti i pozzi petroliferi, si possono vedere coi satelliti le file delle autobotti che portano petrolio all’estero. Perchè non sono state colpite queste fonti che sono facilissime da colpire. Non mi sembra efficace il bombardamento delle zone urbane rispetto al bombardamento per colpire queste fonti di reddito. Sarebbe molto più efficace.

La guerra non è efficace.

No, perchè dovrebbe mandare un esercito infinito. Gli Stati Uniti hanno avuto abbastanza morti. Gli altri Paesi non ci pensano nemmeno e la Francia è già eccessivamente impegnata all’estero. Ha oltre tredicimila soldati già impegnati fuori dalle proprie frontiere: 3000 in Mali, 2000 in Centro Africa, a Gibuti, in Libano, …

La risposta europea la convince? Oggi c’è stato un accordo per modificare Shenegen: la libera circolazione fra gli stati membri. la Francia ha modificato la propria costituzione autolimitando le libertà dei singoli. E’ la risposta giusta?

No. Perchè la risposta giusta è l’unificazione delle forze delle varie intelligence e polizie nazionali. la risposta giusta è creare un sistema antiterrorismo comune in Europa. Dividendo le frontiere non si hanno più informazioni, e armi e terroristi passano ugualmente. Io vedo in questo un processo regressivo che offre un messaggio di maggiore protezione ma che alla fine è più rassicurante che realmente efficace nella lotta contro il terrorismo.

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20

Nov

I gruppi terroristi sono legati tra loro, ma chi li combatte no

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Prodi: “L’origine del terrorismo in Mali? La guerra in Libia”

(Unita.tv) 20 novembre 2015 – L’ex premier a Skytg24: lo sviluppo del terrorismo in Mali è conseguenza della guerra in Libia, grande errore della Francia

“I gruppi terroristici sono legati fra loro, non è possibile che queste cose avvengano senza dei collegamenti organici tra diverse fazioni”. Ne è convinto Romano Prodi, già inviato speciale dell’Onu in Mali e Sahel intervistato da SkyTg24 sull’attentato di oggi nella capitale del Mali, Bamako. Prodi racconta che già nei giorni in cui era in Mali il problema era il rischio di un collegamento tra i vari gruppi. Proprio per questo “andai a parlare in Egitto con l’allora presidente Morsi, dei Fratelli Musulmani, e la sua preoccupazione era che l’intervento francese potesse unire i terroristi del Sahel con quelli del Sinai”.

Quanto al luogo dell’attentato Prodi dice di conoscerlo bene: “Ci sono stato più volte, in apparenza, è mezzo Hotel, mezzo ministero, mezzo luogo di appuntamenti familiari perciò è abbastanza naturale che abbiano scelto questo come punto di riferimento per un attacco terroristico”.

Secondo l’ex premier, il principale problema oggi è la mancanza di un coordinamento tra i vari Paesi. “È inconcepibile che la Francia non voglia partecipare a un cammino verso l’intelligence comune europea” sottolinea Prodi dicendosi sorpreso che la Francia dica no. “C’è una struttura a Bruxelles e la polizia francese non ne sa nulla. Se è così – aggiunge – andiamo nella direzione opposta”.

Infine, alla domanda sulle responsabilità dell’Europa nei confronti di quelle terre d’Africa, la risposta dell’ex premier è stata netta: “Lo sviluppo del terrorismo in Mali è conseguenza della guerra in Libia, grande errore della Francia”. Secondo Prodi, infatti, è stato proprio il conflitto causato dai francesi a provocare la diffusione del terrorismo, soprattutto nel momento in cui si è disciolto l’esercito libico. “I veterani hanno svuotato gli arsenali di Gheddafi e le armi si sono diffuse ovunque”.

 

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20

Nov

Se non una strategia unica, certamente legami molto forti fra i vari terroristi

Inserito da rr  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

MALI. PRODI: ATTACCO ANCHE A FRANCIA, TERRORISTI SONO COLLEGATI

(DIRE) Roma, 20 nov. – “Il Mali e’ cruciale per la stabilita’ dell’Africa perche’ e’ la porta del Sahel, la grande area sotto il deserto. I terroristi che vengono dal Nord dilagano e si congiungono con gli altri che vengono dalla Nigeria cioe’ Boko Aram. Questo movimento e’ la chiave di due sistemi terroristici che possono unirsi. Non un attacco solo al Mali ma anche alla Francia, perche’ l’area del Mali e dei paesi vicini ne e’ fortemente legata. Anche se non c’e’ una strategia unica, i legami fra i vari terroristi sono forti”. Cosi’ Romano Prodi, intervenendo al convegno “Il governo di un mondo multipolare“, aperto oggi a Roma, a Villa Nazareth, promosso dalla Fondazione Comunita’ Domenico Tardini, per ricordare i 40 anni della conferenza di Helsinki.

Ampia e articolata l’analisi del professore: “Se oggi parliamo di multipolarismo, e’ perche’ c’e’ stato un periodo in cui si parlava di governo monopolare, in cui dominava l’asse espresso dagli Stati Uniti d’America. Ora gli Usa non sono piu’ in grado di reggere da soli il mondo. Oggi le “carte politiche” le da’, seppur nella sua fragilita’, la Russia grazie agli errori fatti dagli Stati Uniti che hanno reso l’assetto della politica estera da monopolare a multipolare“.

Tre sono stati i punti su cui si e’ soffermato il professor Prodi: la guerra in Iraq, il conflitto in Afghanistan e il primato della Cina. Un esame a tutto tondo della complessita’ mondiale, con l’indicazione delle prospettive future e del ruolo dell’Europa, “grande assente” in questa turbolenta fase politica. Dal conflitto iracheno, giudicato da Prodi come una “guerra lunga, costosa, perduta sul campo dagli stessi Stati Uniti“, si e’ passati all’analisi dei giudizi emersi nella societa’ statunitense durante la guerra in Afghanistan, in cui l’opinione pubblica ha iniziato a non tollerare piu’ il “ritorno dei cadaveri in patria”.

Altro argomento trattato da Prodi e’ stato l’ascesa cinese ed il suo atteggiamento di “non coinvolgimento” nei conflitti internazionali, che ha favorito lo sviluppo economico e le ha permesso di affermarsi come una delle nuove potenze sullo scenario politico internazionale. La decisione dei paesi occidentali di escludere la Cina dalla possibilita’ di far parte della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale la rendera’ “paese dominante sulla piazza finanziaria mondiale e attraverso la politica della seta le consentira’ di coinvolgere i paesi vicini e inglobarli in una politica comune contro gli Usa”.

L’ultimo pensiero di Prodi e’ stato per L’Europa che, diversamente dalla Cina “si e’ sempre dimostrata divisa ed anche con l’introduzione dell’euro non ha risolto la frammentazione strutturale che la caratterizza. Sono infatti le singole nazioni – a detta di Prodi – a condurre la politica europea ed e’ assente tra gli Stati aderenti una visione comune che ne possa orientare le scelte”. Per Prodi infine “l’Europa fatica ad affermarsi sulla scena politica internazionale, e’ trascinata e non e’ trascinante nonostante rimanga una potenza economica al pari degli Usa”. Domani e’ in programma la seconda giornata del convegno a cui parteciperanno, tra glia altri, i professori Franco Cardini e Carlo Ossola e il segretario di Stato della Santa Sede il cardinale Pietro Parolin. (Com/Rai/ Dire) 19:50 20-11-15 NNNN

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