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29

Nov

Sconfiggere Ebola con una battaglia politica, economica e diplomatica

Inserito da ll  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

”L’UE doveva aprirsi anche verso Sud. Ora subisce le crisi”

Intervista di Alberto Simoni a Romano Prodi su La Stampa del 29 novembre 2014

L’errore è stato quello di agire senza prevedere le conseguenze; come se la storia recente non avesse insegnato a guardare oltre la contingenza e il momento: “Prendete Iraq, Siria, Afghanistan, non mi pare che le guerre abbiano portato a situazioni migliori rispetto allo scenario pre bellico”.

Romano Prodi guarda la Libia e non si stupisce che il Paese che fu di Gheddafi sia caduto in una spirale di conflitto, laici contro islamisti e la bandiera Isis che sventola a Derna.

L’ex Presidente della Commissione Europea che oggi sarà a Torino per celebrare Cuamm (Medici con l’Africa) il progetto “Prima le mamme e i bambini” e “il loro straordinario lavoro”, è stato fino alla scorsa primavera l’inviato ONU per il Sahel: la guerra in Mali, il Nord Africa che si disgrega, il terrorismo islamico sono stati nella sua agenda. Così come l’Africa, stretta fra l’incubo Ebola, e la corsa allo sviluppo.

Sono stati inglesi e francesi a sganciare le prime bombe sulla Libia, tocca ora agli europei porvi rimedio? Questa in fondo è anche la richiesta che viene da Tripoli. Siamo in grado?

“Purtroppo quella guerra è iniziata senza che vi fosse stata una riflessione sulle conseguenze e ora siamo arrivati a questo punto. Dicevo in passato, e lo ripeto ancora oggi: quando si ha una situazione di anarchia bisogna dialogare e trattare con tutti. E’ vero, principio sacrosanto in teoria, che si tratta con i governi o i poteri legittimi, ma in questi casi è necessario parlare con tutti i protagonisti. Ho sempre creduto che ci fosse spazio, per gli europei, per un dialogo con tutti e lo penso ancora oggi. Non si può rimanere attaccati a principi dottrinali, occorre invece un’attenta e severa analisi dei fatti.

Libia, per l’Europa e per l’Italia in particolare, significa immigrazione e carrette del mare stracolme di disperati in fuga. L’Italia c’è in questa sfida, pensiamo a Mare Nostrum, ma l’Europa?

“Dieci anni fa, quando ero presidente della Commissione Europea, mi rimproveravano di non avere una politica verso il Sud. Allora l’urgenza era colmare il vuoto a Est causato dal crollo della cortina di ferro. Ma l’intenzione di tutti era che poi avremmo realizzato politiche per il Sud. Io avevo proposto una banca del Mediterraneo, un’università mista per mettere insieme Nord e Sud. Erano progetti che creavano un rapporto con il Sud, lo integravano, una cosa dal basso. Ma alcuni paesi della UE si opposero. Oggi bisogna destinare risorse alla politica verso il Mediterraneo che dev’essere di ampio respiro e non intaccata da logiche o atteggiamenti legati al passato coloniale”.

Il 2014 per l’Africa occidentale significa anche Ebola. Gli Usa hanno mandato l’esercito, i grandi donatori sono i Paesi europei. E la Cina si è ritagliata un posto di primissimo piano. Cosa cambia per gli equilibri continentali questo attivismo nel nome del realismo di Pechino?

“Anzitutto la Cina ha bisogno dell’Africa, lì cerca le cose che le servono: cibo, energia e materie prime. Inoltre per altri 20 anni la Cina sarà l’unico Paese in grado di esportare uomini, beni, capitali e tecnologia. E questo grazie a una politica organica, un sistema. Pensi che su 54 Stati africani ben 50 hanno relazioni diplomatiche con la Cina. La politica è anche diplomazia, è capacità di creare reti. In questo l’Europa è indietro, ha un gap fortissimo. Non è riuscita a cogliere la dimensione della sfida.

Perché?

“E’ rimasta prigioniera della paura. Certo la UE ha fatto grandi cose, ha dato speranze. Poi quella spinta si è esaurita, ancor prima della crisi economica del 2008 che ha trasformato la paura in panico. Una sorta di crisi d’identità. Ma non è così che si fermano i populismi. Ecco direi che oggi alla UE manca l’Europa, l’idea stessa di quel che vuole essere”

Obama ha parlato di Ebola come di una questione di sicurezza nazionale, coglie un legame anche lei, Professore, fra epidemie e sicurezza?

“Le malattie si vincono con le battaglie politiche, economiche e diplomatiche. Bisogna spendere e investire risorse per trovare vaccini e creare reti di protezione e di prevenzione. Questo significa garantire sicurezza. Sono battaglie che tutti devono combattere…”

Il G8 ha sempre fatto grandi richiami all’Africa, alla lotta alle malattie e alla povertà. Non basta?

“Ho partecipato a dieci G8, abbiamo sempre fatto promesse, ma ne abbiamo mantenute solo una parte”.

Le Ong che ruolo hanno in questa lotta che sembra impari con le epidemie?

“Il volontariato è fondamentale ma, ripeto, le sfide come quelle di Ebola si vincono a livello politico”.

Libia, Mali, Ebola, le guerre tribali e per le risorse, penso al Congo. Eppure l’Africa sta conoscendo anche sviluppo e cambiamento, risveglio economico…

“Non lo chiamerei risveglio…”

Non lo è un Continente che cresce del 5%?

“Certo che cresce, e bene, ma il suo Prodotto Interno lordo ha la stessa quota del prodotto lordo mondiale che aveva nel 1980. Questo ci dice quanto è stata tragica negli ultimi decenni la situazione del Continente che resta ancora in condizioni di povertà drammatiche. Però è vero che c’è un fermento positivo e una gioventù nuova. Non è un rinascimento, ma l’Africa sta crescendo.

E dove guarda quella gioventù, quali modelli di riferimento segue?

“Per la mia esperienza direi che non segue nessun modello. Una volta era l’Europa, ma oggi se in Angola arrivano più portoghesi rispetto a quanti angolani migrano in Portogallo, è evidente che il modello europeo è in crisi anche a quelle latitudini.”

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25

Nov

La disuguaglianza economica è un pericolo per la democrazia

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Regionali: Prodi, chi non vota lo fa perche’ non soddisfatto

(ANSA)Firenze,25 novembre – “L’espressione primitiva, immediata della democrazia e’ il voto: se uno non vota, vuol dire che non e’ soddisfatto”. Lo ha affermato Romano Prodi, ex presidente del Consiglio, a chi gli chiedeva se la disaffezione al voto, come visto anche alle ultime elezioni regionali in Italia, possa essere interpretata come un segnale di malessere della democrazia. Prodi ha parlato a margine della conferenza “Democracy and Human Rights in Decline?“, organizzata dal Rfk Center e dal Club di Madrid.

Secondo Prodi la “disparita’ fortissima” nella distribuzione del reddito nel mondo “crea debolezze nel sistema democratico, ovviamente molto di piu’ nei continenti che stanno costruendo la democrazia come Africa e Asia, ma anche in Europa e negli Usa.

Gravi momenti di crisi della democrazia, ha ricordato l’ex premier, “si sono avuti nei paesi e nei periodi di crollo economico” come ad esempio il primo dopoguerra, con “le conseguenze politiche che ci sono state: e’ chiaro che la Storia non si ripete, e che non ci sono immediate angosce di questo tipo, ma e’ chiaro che il crescere del malcontento, del populismo, e’ certamente un seme di pericolo per la democrazia”.

(ANSA) YAD-FBB

Terrorismo: Prodi, preoccupa perche’ molto diffuso nel mondo

(ANSA) – Firenze, 25 novembre – “Tutti sperano che il terrorismo sia un fatto emergenziale, che in qualche modo possa finire presto, ma le analisi fatte sono preoccupanti perche’ ne vedono una diffusione molto grande in tutto il mondo”. Lo ha affermato Romano Prodi, ex presidente del Consiglio, a margine della conferenza “Democracy and Human Rights in Decline?” organizzata dal Rfk Center e dal Club di Madrid.

(ANSA) YAD-FBB

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27

Oct

Nel Mediterraneo l’Europa riprenda il ruolo che le spetta

Inserito da ll  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Euromed: Prodi “basta divisioni, Ue riprenda ruolo Mediterraneo”

(AGI) – Napoli, 27 ottobre – L’Europa deve avere coscienza del proprio ruolo nel Mediterraneo e superare “le divisioni” che ormai da anni le impediscono di avere politiche attive per l’area. E’ questo il messaggio che Romano Prodi lancera’ stasera da Napoli, all’apertura di un incontro per il decimo anniversario della Fondazione Anna Lindh. Si tratta di una finestra sul dialogo interculturale in un momento di crisi sociale e violenza senza precedenti per la sponda sud del Mare Nostrum. “Bisogna essere sinceri: l’Europa non svolge nel Mediterraneo la politica attiva che si era impegnata a fare dieci anni fa, e questa e’ una colpa grave”, ha dichiarato Prodi in un’intervista all’AGI. “Non c’e’ un’iniziativa unitaria europea“, ha osservato l’ex premier, “ci sono divisioni tra i diversi Paesi. Di fatto l’Europa e’ assente da tutti gli scenari di politica estera”.

Dopo il lancio del processo di Barcellona, nel 1995, la politica euromediterranea ha stentato a decollare e anche l’Unione per il Mediterraneo lanciata nel 2008 su iniziativa francese si e’ incagliata tra divisioni e gelosie. Prodi aprira’ questa sera i lavori della Fondazione Anna Lindh insieme al commissario europeo per l’Allargamento e le Politiche di Vicinato Stefan Fule e il presidente della Fondazione, Andre Azoulay. Una tre giorni di dibattiti, ospitata dalla Fondazione Mediterraneo nel quadro della presidenza italiana dell’Ue, che vedra’ riuniti oltre 250 delegati da 42 Paesi: rappresentanti delle reti della societa’ civile, istituzioni regionali, media e leader politici. “Gli obiettivi del processo di Barcellona”, ha continuato Prodi, “sono ancora raggiungibili, ma ci vuole un diverso impegno politico ed economico”, oggi invece si registra un “vuoto politico”, uno “sbandamento”. Fenomeni come quello dell’Isis forse sarebbero sorti comunque, certo che la mancanza di unita’ sul fronte europeo “ha fornito un terreno fertile”. “Quanto avviene in Iraq, in Siria, le tensioni permanenti tra Palestina e Israele – ha proseguito Prodi – tutto questo dovrebbe essere affrontato con una forte politica unitaria. E questo non avviene”. L’esempio piu’ eclatante quello della guerra in Libia. “Li'”, ha osservato l’ex presidente della Commissione Ue, “abbiamo assistito alla divisione europea.

L’atteggiamento germanico e’ stato completamente diverso da quello francese, da quello britannico e da quello italiano. La guerra di Libia non e’ certo stato frutto di una decisione condivisa di politica europea”. L’Europa non ha certo creato questa situazione, ha aggiunto Prodi ma “esistono anche i peccati di omissione”. Sulle grandi emergenze del Mediterraneo, ha osservato Prodi, si parla del ruolo della Nato o di quello della Turchia senza tener conto che questo mare e’ “il luogo per eccellenza di un’iniziativa europea“. “Mi sono sentito dire piu’ volte dai Paesi della sponda sud ‘voi siete i piu’ grandi trader. Siete coloro con cui abbiamo piu’ rapporti commerciali, quelli che piu’ investono in questa zona e anche quelli che la conoscono meglio”. “Pero’ – ha notato con amarezza il ‘Professore’ – quando ci sono i grandi problemi, le grandi tensioni, la palla passa agli americani“.

Cosa deve fare l’Europa? “Prendere iniziative concrete – risponde Prodi – sia in politica che nella cooperazione culturale. La Fondazione Anna Lindh ha fortemente questo tipo di connotazione, orientata verso il dialogo profondo tra i popoli”. Un ruolo che, probabilmente, dovrebbe ricordarsi di avere anche l’Ue. “Quando ero presidente della Commissione europea – ha ricordato Prodi – avevamo stabilito una Commissione di dialogo tra popoli e culture per il Mediterraneo, si stava prospettando un grande progetto chiamato l”anello degli amici‘, rapporti di cooperazione tra i Paesi del nord, Ue e tutti i Paesi attorno, compresi quelli del Mediterraneo. Tutti progetti politici che sono rimasti sulla carta”. Carta che probabilmente la prossima Commissione europea dovra’ riprendere in mano. “Mi auguro che ci sia la coscienza di un ruolo dell’Europa, ci spero proprio”.

 

Siria: Prodi, problemi non si risolvono con guerra

(AGI) – Napoli, 27 ottobre – In Siria, “le cose peggiorano e non e’ facile avere un’immagine di cosa si potrebbe fare. La realta’ e’ che quando ci sono problemi cosi’ complessi, culturali, le cose non si risolvono con una guerra, soprattutto con una che viene da fuori. Bisogna diminuire l’ingerenza esterna, perche’ i risultati di questa sono stati assolutamente negativi”. A dirlo a Napoli Romano Prodi, a margine dell’avvio delle celebrazioni del decennale della Fondazione Anna Lindh.

Per il commissario Ue per l’Allargamento e le Politiche di vicinato Stefan Fuele, “occorre accompagnare i Paesi verso la democrazia, ma ma il destino dei Paesi resta nelle mani dei popoli. Mentre la regione araba cambiava, abbiamo cercato anche noi di cambiare. Ma democrazia non e’ facile. Dobbiamo riflettere perche’ il destino di tanti Paesi dell’area non e’ ancora deciso”.

 

Tunisia: Prodi, da quelle elezioni messaggio importante

(AGI) – Napoli, 27 ottobre – Dalle elezioni in Tunisia “riceviamo un importante messaggio. Il primo Paese ad aprire la primavera araba ora ci dice che il suo percorso democratico e’ irreversibile“. A dirlo Romano Prodi, a Napoli per il decimo anniversario della Fondazione Anna Lindh. L’ex presidente della Commissione Europea sottolinea come “le elezioni siano state aperte, democratiche e con un’alta percentuale di votanti”.

Prodi ha pero’ ricordato che non tutto il mondo arabo “e’ come la Tunisia”, ma spera che “questo processo sia contagioso anche se dobbiamo ammettere che non ci siamo vicini“. Il percorso democratico tunisino, a suo avviso, comunque, “e’ irreversibile”. Tuttavia sulla possibilita’ che questo risultato possa segnare una svolta nelle politiche Ue con i paesi del Mediterraneo non e’ ottimista. “Onestamente non credo che cambieranno – dice ai cronisti che gli avevano rivolto una domanda specifica – occorre svegliare una sensibilita’ politica e non e’ facile in un momento in cui ci sono molti problemi interni in Europea”. Anche per il commissario Ue per l’Allargamento e le Politiche di vicinato, la Tunisia “e’ un buon esempio. C’e’ stato un dialogo all’interno della societa’.

Puo’ esserci contagio, altri Paesi possono seguire quell’esempio”. Il presidente della Fondazione, Andre’ Azoulay, sottolinea che “le elezioni democratiche sono possibili anche nei Paesi del mondo arabo. Puo’ sembrare banale ma non lo e’.

Sui giornali fino a due giorni fa tutti gli editorialisti si aspettavano una vittoria del partito islamico. Spero che il risultato di queste elezioni faccia capire che non ci sono paesi cloni di altri, che c’e’ una complessita’ nel mondo arabo, non e’ solo bianco e nero”.

(AGI) tig/lil

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14

Oct

L’Africa: una priorità europea

Inserito da ll  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

L’Afrique, une priorité européenne

Par Mario Pezzini (Directeur du Centre de Développement de l’OCDE) et Romano Prodi (Ancien Président de la Commission Européenne et ancien Envoyé Spécial des Nations Unies pour le Sahel) – Le Monde.fr – 14.10.2014

Quel regard l’Europe doit-elle porter sur l’Afrique ? Un jour les gros titres sont optimistes : elle est la région du monde à la plus forte croissance, avec une classe moyenne en expansion; le lendemain, les nouvelles tragiques d’attaques terroristes à grande échelle et de pandémie incontrôlée peignent un tableau autrement plus sombre.

Ce sont les deux faces d’une seule réalité en rapide évolution, qu’il nous faut comprendre pour pouvoir y répondre.

Grâce à la demande mondiale pour ses matières premières, à son dynamisme démographique et aux demandes croissantes de sa classe moyenne, le continent s’enrichit depuis le début des années 2000 au rythme annuel moyen de 5,1 %. C’est deux fois plus que la décennie précédente et trois fois plus que les pays de l’Organisation de coopération et de développement économiques (OCDE) depuis dix ans.

Les nations productrices de pétrole sont les premières à profiter de ce contexte favorable : quarante ans après son indépendance, l’Angola est ainsi en position de proposer son aide à l’ancienne puissance coloniale, le Portugal, affaibli par la crise économique. Mais d’autres pays moins dotés de matières premières, comme l’Éthiopie, voient également leur situation s’améliorer. La nouvelle fortune du continent est largement due à la réémergence de la Chine depuis trois décennies, qui a porté 83 pays en développement à des taux de croissance par habitant au moins deux fois supérieurs à ceux des pays de l’OCDE.

UNE CROISSANCE PLUS FORTE, PLUS INCLUSIVE

Toutefois, si on peut saluer la meilleure performance de l’Afrique, on aurait tort de s’en satisfaire : c’est d’une croissance plus forte, plus inclusive et durable qu’elle a besoin. En effet, parties de niveaux de revenus très bas, la plupart des économies africaines progressent à un rythme bien en deçà des trente ans de croissance à 10 % que la Chine vient de connaître. Leurs taux d’épargne restent très inférieurs à ceux des économies d’Asie au moment de leur décollage, et nombreuses sont celles qui dépendent encore beaucoup des flux financiers extérieurs.

Par ailleurs, la croissance de l’Afrique crée encore trop peu d’emplois. Ainsi à la veille de la révolution tunisienne de janvier 2011, tous les indicateurs économiques étaient au vert; aucun n’a su capter la frustration d’une population éprise de liberté, et surtout celle des jeunes diplômés chômeurs, exclus de la croissance. Sur l’ensemble du continent, moins de 10 % des jeunes ont un emploi décent, les autres s’occupent dans le secteur dit informel, ou travaillent sans rémunération dans l’exploitation familiale.

Les institutions du continent, au premier rang desquelles l’Union africaine, ont posé le bon diagnostic : la croissance actuelle ne suffit pas, c’est d’une transformation économique et sociale qu’a besoin l’Afrique. Celle-ci ne découlera pas naturellement de l’épisode de croissance en cours. Des stratégies et politiques publiques seront nécessaires pour encourager la diversification économique, renforcer la compétitivité et promouvoir des activités plus créatrices d’emploi et de valeur sur le sol africain.

DIVERSIFICATION DE L’INDUSTRIE

Les gouvernements mettent graduellement en place ces stratégies, dans lesquelles les ressources naturelles considérables du continent ont un rôle essentiel à jouer. Or il y a encore beaucoup à faire : en moyenne on dépense dans la recherche de ces ressources minières africaines treize fois moins par km2 qu’au Canada, en Australie ou au Chili.

Par ailleurs, l’exploitation de ces ressources et les revenus qu’elles génèrent doivent servir à enclencher une diversification de son industrie et de ses exportations. Là encore les défis sont considérables notamment du fait de la petite taille et de la fragmentation des marchés internes des nombreux pays africains.

On peut applaudir l’envolée du commerce africain – multiplié par plus de 4 en 10 ans – mais sa participation aux échanges mondiaux de biens intermédiaires, un bon indicateur de la capacité d’un pays à capter les bénéfices du commerce international et de chaînes mondiales de valeur, dépasse à peine les 2 %. L’Afrique demeure largement un pourvoyeur de matières premières, destinées à être valorisées en Asie ou dans les pays de l’OCDE.

Enfin, la richesse économique naissante ne fait pas automatiquement le bien-être de la population. La mise en place d’institutions stables et efficientes, à même de garantir la paix et la prospérité, est un processus de longue haleine. Ainsi l’offre de services publics – santé, éducation, sécurité, justice, etc.- ne suit pas les courbes de croissance, pas plus en Afrique qu’ailleurs. L’incapacité des pays touchés par la crise sanitaire d’Ebola à y faire face – dont la Sierra Leone qui selon de récentes prédictions devait connaître une croissance à deux chiffres en 2015 – en est une illustration. On aurait tort de n’y voir que l’effet de la mauvaise gouvernance et des détournements de fond. Ceux-là existent, mais même quand les efforts sont sincères, les progrès ne peuvent qu’être lents.

Les impôts collectés par les États africains, qui doivent financer ces services publics, proviennent dans de nombreux cas principalement des royalties versées par les entreprises multinationales des secteurs énergétiques, agricoles et miniers. Quant à la fiscalité des entreprises locales, elle étrangle trop souvent les PME, tandis que de trop nombreuses et importantes transactions « informelles » échappent à l’impôt. Ce n’est pas la base solide d’un contrat social entre État et citoyens.

La transformation économique doit enrichir les entreprises, les travailleurs et les consommateurs africains afin qu’ils deviennent, grâce à une taxation juste et des politiques publiques efficaces, les premiers pourvoyeurs de leur bien-être.

L’Europe ne peut se contenter d’espérer ces changements. Elle doit puiser dans ses ressources financières, humaines et technologiques pour adapter sa capacité de coopération à la nouvelle donne stratégique et géopolitique africaine. Plus que d’aide financière, c’est du partage d’expérience, de technologie et de savoirs qu’il est besoin. L’Europe quant à elle doit assumer sa solidarité avec le projet de transformation du continent: l’Afrique est bien trop proche de nous pour être considérée comme une affaire étrangère.

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21

Sep

Solo una grande alleanza potrà fermare il nuovo terrorismo

Inserito da ll  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

La strategia USA. Più cervello meno muscoli nella guerra al terrorismo

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 21 settembre 2014

All’inizio del secondo mandato Obama aveva concentrato l’attenzione della sua politica estera sulla Cina e sulle aree circostanti. Tutto il resto era secondario. L’Ucraina non era ancora arrivata ad un livello intollerabile di tensione e il Medio Oriente sembrava perdere l’importanza prioritaria che aveva avuto in passato. Gli esperti di politica internazionale pensavano inoltre che quest’importanza sarebbe ulteriormente diminuita. Essa si era infatti sempre fondata su due pilastri indiscutibili: la protezione di Israele e la garanzia del rifornimento energetico per gli Stati Uniti.

Il primo obiettivo, anche se con un minore entusiasmo, rimaneva e rimane ma il secondo è uscito rapidamente dall’agenda, dato che le nuove risorse di shale-gas e di shale-oil stanno portando gli Stati Uniti verso un’indipendenza energetica nemmeno immaginata in passato. Un evento che non solo rafforza enormemente l’economia americana ma che sta producendo una diminuzione dei prezzi mondiali del petrolio pur in presenza di gravissime tensioni in molti Paesi produttori. Un calo di prezzi che, se continuerà in futuro, metterà a dura prova anche l’economia russa, che ancora fonda una parte prevalente del bilancio dello stato e del commercio estero su gas e petrolio.

A distanza di pochi mesi lo scenario è quindi cambiato.

I problemi dell’Oceano Pacifico sono ancora sul tavolo ma per ora non sono prioritari: le tensioni fra la Cina e i Paesi limitrofi (a cominciare dal Giappone) rimangono molto elevate ma si manifestano per ora più in espressioni verbali che non in atti di concreta ostilità. Come se la Cina e gli altri Paesi dello scacchiere asiatico si fossero resi conto che le loro priorità sono ancora legate allo sviluppo economico e che quindi conviene raffreddare le tensioni o, addirittura, aprire nuovi canali di collaborazione, come sta avvenendo fra India e Cina.

Tutto questo non vuol dire che la competizione fra Cina e Stati Uniti non rimanga la grande sfida del nuovo millennio. Significa solo che la gara è stata rinviata perché, per il momento, prevalgono altri problemi ed altri interessi.

Il Medio Oriente è infatti di nuovo in prima linea non più per il petrolio ( almeno da parte americana) ma per il ritorno dei sanguinosi conflitti ereditati dalla guerra in Iraq e dagli innumerevoli errori della passata politica, errori che hanno contribuito a dare vita ad un evento nuovo ed imprevisto, cioè la nascita del terrorismo con base territoriale. Un terrorismo che si fa Stato.

Tutti siamo al corrente di quanto sia pericolosa questa evoluzione e come grande sia la preoccupazione per una sua possibile espansione verso molti altri territori.

Minore riflessione è stata invece dedicata al modo con cui gli Stati Uniti sono costretti ad affrontare questa nuova sfida.

Non certo scendendo di nuovo sul campo di battaglia. Prima di tutto perché l’opinione pubblica americana è stanca di combattere. Nel dibattito politico interno vi è ancora chi preferisce mostrare i muscoli ma, nella realtà dei fatti, nessuno è disposto ad assistere di nuovo alle cerimonie di ritorno delle salme dei soldati caduti nel lontano ed incomprensibile fronte del Medio Oriente.

Non essendo più in grado di pagare quest’altissimo prezzo, si usano strumenti meno rischiosi ma anche meno efficaci, come i bombardamenti aerei e il crescente rifornimento di armi alle coalizioni ( più o meno amiche) disposte a combattere il terrorismo. Si è, a questo proposito, chiesta la collaborazione ad una quarantina di Paesi e in primo luogo ai governi europei, che hanno reagito in modo cooperativo ma estremamente prudente, anche se la Francia si è più degli altri esposta inviando i propri jet a bombardare le postazioni dell’ISIS. Ancora più prudente è stata la reazione dei Paesi arabi “amici”, alcuni dei quali continuano a mantenere un elevato livello di ambiguità anche di fronte a questa nuova espressione dell’estremismo islamico.

Nonostante questi comportamenti prudenti la nuova strategia di Obama si dedicherà sempre di più a chiedere un crescente impegno militare ai suoi alleati, impegno che, nel caso europeo, difficilmente potrà materializzarsi fino a che non ci sarà una politica estera comune.

Oltre all’interrogativo sulla risposta iraniana tre sono i maggiori ostacoli perché quest’accordo possa essere raggiunto.

Il primo, del tutto ovvio, è quello di convincere l’opinione pubblica americana. Dopo tanti decenni in cui l’Iran è stato etichettato come il grande Satana non si tratta certo di un passaggio indolore.

Il secondo ostacolo, anch’esso non facile da fare digerire, riguarda la paura di Israele di essere abbandonato dall’ombrello protettivo americano. Senza questa riassicurazione difficilmente un qualsiasi accordo potrà andare in porto. Il terzo ostacolo si esprime nella necessità di concludere il trattato nucleare con l’Iran in accordo con la Cina e la Russia.

Inutile dire quanto questo sia difficile perché, anche se sbagliando, Russia e Cina possono pensare di avere interesse a tenere gli Stati Uniti impantanati ancora a lungo nel Medio Oriente. Oggi, tuttavia, quest’accordo è possibile perché il nuovo terrorismo minaccia di espandersi ovunque e quindi fa paura a tutti, a partire dalla Russia e dalla Cina.

Resta tuttavia fermo che, senza la firma di Russia e Cina, né l’opinione pubblica americana né Israele possono sentirsi rassicurati.

Un fatto è quindi certo: la politica americana si sta allontanando sempre di più dalle solitarie prove di forza per fondarsi sulla diplomazia, le alleanze e gli accordi. Il soft-power e il cervello si sostituiscono progressivamente ai muscoli.

Solo con questa strategia Obama potrà affrontare con possibilità di successo anche la sfida con la Cina che, come egli stesso ha dichiarato, sarà il punto di riferimento della politica del secolo che stiamo vivendo.

Non avendo per ora alcuna prospettiva che a questa grande gara partecipi l’Europa, ci limitiamo a sperare che questa sfida sia pacifica.

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27

Jul

Risolvere l’emergenza in Libia: l’unica via per fermare l’esodo di chi fugge da fame e guerra

Inserito da ll  - Pubblicato in Lago Tchad, Riflessioni sul Mondo

La tragedia dei migranti e l’inferno della Libia

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 27 luglio 2014

Gli arrivi dei migranti sulle nostre coste aumentano ad un ritmo impressionante. Si potrebbero accumulare statistiche su statistiche ma basta ricordare alcuni dati (già sottolineati sul Messaggero del 24 luglio da Marco Ventura) per capire a che punto siamo arrivati e dove stiamo andando. Nel 2012 sono sbarcati in Italia 13.267 migranti. Essi sono saliti a 42.925 nel 2013 ma sono già più di ottantamila oggi e si pensa arriveranno oltre i 120mila alla fine di agosto.

Questi migranti per la metà si dichiarano cittadini dell’Eritrea e della Siria e fuggono dalla guerra civile o dall’oppressione politica. L’altra metà è composta di disperati che provengono da situazione di tragica povertà e di insicurezza, con una crescente presenza di cittadini dei Paesi che stanno sotto il Sahara, come Mali, Nigeria o Gambia.

La quasi totalità di costoro arriva dopo essersi imbarcata in Libia, dove la vicinanza geografica all’Europa si unisce ad una situazione di un’assoluta mancanza di controllo da parte delle ormai inesistenti autorità di governo.

Pur essendo molto difficile fare previsioni sull’andamento dei flussi migratori futuri bisogna purtroppo concludere che le zone afflitte da guerre o tensioni non mostrano alcuna prospettiva di miglioramento e che i migranti provenienti dalla profonda Africa sono destinati ad aumentare per il combinato disposto del vorticoso aumento della popolazione e della consapevolezza che la fuga in Europa costituisce l’unica alternativa alla morte di fame o a condizioni di vita disumane.

In conseguenza dell’elevato tasso di natalità e della diminuzione della mortalità infantile, la popolazione dei Paesi del Sahel raddoppierà infatti in meno di venti anni.

Le situazioni di insicurezza, terribile eredità della guerra di Libia, hanno moltiplicato terrorismo e miseria, facendo dell’emigrazione l’unica risorsa possibile. Mi diceva poche settimane fa un sindaco di una piccola città del Sahel che la caduta della sicurezza, soprattutto nelle zone più periferiche, si accompagna ai furti di bestiame e all’evaporazione delle poche attività economiche esistenti. In questi casi le scarse risorse ancora disponibili vengono tutte indirizzate verso i viaggi della disperazione.

E’ evidente che l’unico modo per regolare questo fenomeno è quello di portare pace e sviluppo dove non ci sono ed è altrettanto evidente la debolezza dell’impegno europeo in questa direzione. Nonostante l’Unione Europea sia il maggior donatore verso l’Africa subsahariana non esiste un impegno politico collettivo. Ogni Paese agisce per conto suo e nelle aree di tradizionale presenza coloniale o di influenza politica: la Francia con i Paesi francofoni, la Gran Bretagna coi Paesi anglofoni mentre gli Stati Uniti operano soprattutto coi Paesi della costa dell’Ovest e con alcuni Paesi amici. Solo la Cina agisce a livello continentale, ma evitando tutti i possibili interventi di carattere politico che possano metterla in situazioni imbarazzanti. Una politica concordata di aiuto allo sviluppo avrebbe certamente un’efficacia positiva nel regolare i fenomeni migratori ma, per essere veramente efficace, dovrebbe essere accompagnata da una massiccia lotta contro il terrorismo e da un rafforzamento delle fragili strutture statuali deputate alla sicurezza e allo sviluppo.

Trascurando per ora coloro che fuggono da Iraq e Afghanistan, che in genere seguono la via dei Balcani, tutti gli altri migranti giungono in Europa non dalla Tunisia (che sarebbe il Paese geograficamente più vicino) ma dalla Libia, Paese senza governo e nel quale i trafficanti fanno sostanzialmente da padroni.

La Libia come luogo di fuga e non come Paese di migranti, perché tra i migranti non figura alcun cittadino libico.

E’ chiaro che il primo intervento efficace per evitare le quotidiane tragedie del mediterraneo dovrebbe essere dedicato alla ricostruzione delle strutture statuali libiche ma sembra che, dopo esserci impegnati in una guerra iniziata e terminata senza tenere conto delle conseguenze, nessuno ha il coraggio di occuparsi in modo attivo della Libia. Nessun serio tentativo per mettere attorno a un tavolo le diverse tribù, etnie e milizie che compongono il potere reale del Paese.

Le così dette grandi potenze, a cui l’Italia si è accodata con passione suicida, si sono accontentate di avere vinto la guerra e di essersi sbarazzate di un dittatore. Hanno trovato l’accordo per bombardare ma non lo cercano per pacificare.

E’ chiaro che una decente politica per la Libia non fermerebbe una spinta migratoria, che soprattutto nasce dalla nuova realtà del mondo, ma la renderebbe almeno più umana e gestibile. Non toglierebbe la necessità di un’azione comunitaria europea, non diminuirebbe la necessità di una politica coordinata di accoglienza, di strutture specializzate per la protezione dei minori e di una nuova regolamentazione delle regole di asilo.

Queste migrazioni bibliche vanno ben oltre il caso libico ma se vogliamo essere in grado di risolvere i problemi globali dobbiamo affrontare prima di tutto le situazioni di emergenza.

La Libia è ora la grande emergenza: essa sta diventando sempre più preda di gruppi terroristici in grado di controllare il territorio. Le vite dei migranti disperati sono forse il più potente strumento nelle loro mani. E’ ora che i Paesi europei si rendano conto che questo non è un problema solo italiano, che non è un problema di sola assistenza ma è il problema più grande e difficile che l’Europa deve affrontare.

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16

Jul

Salvare il Lago Tchad è condizione indispensabile per la pace e lo sviluppo nel Sahel e in Africa

Inserito da ll  - Pubblicato in Lago Tchad, Riflessioni sul Mondo

Una risorsa dalla quale dipendono trenta milioni di persone

UNA SPERANZA DI PACE: SALVARE IL LAGO TCHAD

Articolo di Romano Prodi su Le Monde Diplomatique di luglio 2014

(Lire ici l’article en francais)

Nel cuore del Sahel, il lago Tchad rischia di scomparire. La sua rivitalizzazione è tanto più indispensabile in quanto favorirebbe la pace in una regione instabile. Romano Prodi, ex presidente della Commissione europea, è impegnato nella riuscita del programma di salvaguardia.

Il Lago Tchad si trova nel cuore di una regione dell’Africa centrale caratterizzata da una desertificazione galoppante e da una crescita demografica record. Collocato alle porte del Sahara, dipende dal regime delle piogge che da sempre ne fanno variare fortemente il livello. La topografia particolarmente piatta del suo bacino provoca movimenti spettacolari. Dal 1962, le acque si sono abbassate di quattro metri, riducendo la superficie del 90%. A partire dagli anni ’80 le evoluzioni climatiche, con la siccità e la scarsità delle piogge, unite all’eccessivo sfruttamento delle risorse da parte dei paesi rivieraschi – il 75% delle acque sarebbe deviato a monte -, hanno ridotto la sua estensione a meno di 2.599 chilometri quadrati.

Malgrado gli sforzi portati avanti localmente per assicurare una gestione più razionale degli affluenti (soprattutto il Chari e il Logone, che si uniscono a N’Djamena), i fabbisogni idrici di trenta milioni di persone per l’alimentazione, la pesca, l’allevamento, l’agricoltura, in un contesto di rarefazione, suscitano tensioni e accelerano la scomparsa di questa risorsa fondamentale. Importante scrigno di biodiversità in questa regione dell’Africa, il lago Tchad rischia di subire la stessa sorte del mar d’Arai, in Asia centrale. Se non si fa nulla, potrebbe rapidamente scomparire.

Nel corso degli ultimi anni, gli Stati della regione si trovano ad affrontare crisi politiche, un aumento della povertà e interventi internazionali: colpi di Stato in Niger e in Centrafrica, violenze in Nigeria, tensioni post-elettorali in Camerun, operazioni militari in Tchad … La scomparsa del lago non farebbe che aggravare l’instabilità, il che dovrebbe spronare i governi all’azione.

Due anni fa i paesi rivieraschi, Camerun, Niger, Nigeria e Tchad, e gli altri membri della Commissione del bacino del lago Tchad (Cblt) (1) hanno adottato un piano quinquennale di investimenti (2013-2017) di 900 milioni di euro. Intorno al 10% di questa somma dovrebbe essere destinato agli interventi transfrontalieri gestiti direttamente dalla Cblt, il resto sarebbe amministrato dai paesi membri e destinato alle zone limitrofe al lago.

Alla conferenza di Bologna, lo scorso aprile, i donatori hanno confermato il loro sostegno di massima a questo piano; la Banca mondiale, in particolare, potrebbe contribuire ampiamente al suo finanziamento nel quadro del sostegno ai paesi del Sahel. E la Banca africana di sviluppo (Bad), ha già preso l’impegno a sbloccare 80 milioni di euro.

Il piano prevede interventi destinati a conservare il lago in quanto risorsa necessaria alla lotta contro la povertà, alla stabilizzazione e al miglioramento delle condizioni economiche e ambientali della regione. Non si limita a intervenire direttamente sui livelli idrici e sulla qualità dell’acqua disponibile, ma si propone anche di aumentare la produttività degli agricoltori, dei pescatori e degli allevatori del bacino. Mira inoltre a rafforzare i processi di integrazione e collaborazione regionali, impegnando attivamente la popolazione nei processi decisionali e nella salvaguardia delle fonti di reddito.

Basta con l’attesa di nuovi studi

Queste azioni si declinano in sottoprogrammi transfrontalieri e nazionali ,gestiti da tutti i paesi rivieraschi. Da una parte si tratta di proteggere gli ecosistemi e sostenere le attività economiche locali: riabilitazione dei centri di pesca, sviluppo dell’allevamento del bestiame diffusione di nuove tecniche per proteggere i raccolti da insetti, parassiti e funghi, e le rive del lago dalle erbe infestanti. I progetti mirano ad aumentare la produzione limitando al tempo stesso i danni all’ambiente, in particolare quanto all’uso dei pesticidi, e proteggendo la biodiversità animale e vegetale.

D’altra parte, occorre migliorare le risorse idriche del bacino in qualità e quantità, sia mediante la captazione e il dragaggio del Chari-Logone che con l’idea – molto più ambiziosa – di trasferire, nelle stagioni favorevoli, una parte delle acque del fiume Oubangui, affluente del fiume Congo.

Il progetto Transaqua, immaginato oltre trent’anni fa dall’ingegnere italiano Marcello Vichi, preconizzava un’infrastrutture multifunzionale suscettibile di avviare un volume considerevole di acqua del bacino del Congo al limitrofo bacino del Tchad (2).

Per accelerare questi progetti, i paesi membri della Cblt si sono impegnati a non subordinare più le proprie decisioni alla realizzazione di nuovi studi, dopo quelli, già numerosi, che hanno segnato i 50 anni di vita della Commissione. Infatti di fronte alla minaccia di una morte imminente del lago, il tempo è contato: occorre agire per invertire la tendenza e ridare speranza alle popolazioni.

Il programma di sviluppo sostenibile del lago Tchad (Prodebalt), lanciato nel 2008 con un budget di 60 milioni di euro e finanziato per metà dalla Bad con il concorso dell’Unione europea, è stato aggiornato. Prevede in particolare lavori di difesa e recupero dei suoli, la fissazione delle dune su ottomila ettari e la rigenerazione degli ecosistemi pastorali su 23.000 ettari.

I paesi membri della Cblt contribuiscono direttamente alla realizzazione del piano quinquennale, ma lanciano anche un appello internazionale senza precedenti. II compito di raccogliere i contributi – pubblici e privati – è affidato a due personalità africane di primo piano: l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo e l’ex ministro degli affari esteri burkinabè Hama Arba Diallo.

Sostengono l’iniziativa l’attuale presidente dell’Unione africana, il mauritano Mohamed Ould Abdel Aziz, e la presidente della Commissione dell’Unione africana (equivalente della Commissione europea), la sudafricana Nkosazana Dlamini-Zuma.

Il piano vuole mettere alla prova la capacità dei paesi africani di affrontare crisi di grande portata. E del resto sarà di stimolo a una maggiore solidarietà internazionale, non solo grazie ad aiuti finanziari ma anche mettendo a disposizione della Clbt tecnici e scienziati di profilo elevato.

Per tutte queste ragioni, a Bologna il 4 e 5 aprile 2014 si è svolta una conferenza internazionale con l’obiettivo di mettere insieme finanziamenti per il salvataggio del lago Tchad (3).

A conclusione dei lavori, la dichiarazione di Bologna ha definito le priorità. Si prevede la costituzione di un comitato di accompagnamento che avrà il compito di proseguire la mobilitazione a livello internazionale. Dovrebbe seguire la creazione di un comitato scientifico mondiale in grado di assicurare al progetto le competenze più qualificate.

Coordinamento politico e militare

Il rapporto che ho consegnato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (Onu) al termine della mia missione come inviato speciale del segretario generale per il Sahel con l’incarico di individuare soluzioni che potessero ridurre le tensioni, rafforzare il dialogo e superare i conflitti, suggerisce cinque indirizzi d’intervento prioritari, a partire dalla necessità di garantire l’approvvigionamento alimentare e idrico delle popolazioni. Ho anche sottolineato i bisogni di queste ultime in materia di infrastrutture, salute, istruzione ed energia.

Il piano si concretizza proprio mentre i focolai di violenza interessano territori contigui sempre più ampi. Dopo il Darfur, la Libia, il Sudan e il Mali, la regione attraversa una nuova grande crisi con la destabilizzazione della Repubblica centrafricana e la moltiplicazione degli atti terroristici del gruppo Boko Haram, che devastano in particolare le province settentrionali della Nigeria e del Camerun.

Un progetto come quello della rivitalizzazione del lago Tchad corrisponde proprio a una strategia di prevenzione e limitazione dei conflitti. È una delle principali speranze regionali per far fronte alla povertà e alla disperazione della gioventù, ma anche alle guerre e al terrorismo.

Il nuovo orientamento politico dei paesi della Cblt ha già prodotto i suoi primi effetti in materia di miglioramento dell’ordine pubblico e della sicurezza collettiva. Riuniti nel mini-vertice di Nouakchott, il16 febbraio, i presidenti di Mauritania, Burkina Faso, Mali, Tchad e Niger hanno creato il «G 5 del Sahel», per coordinare le proprie politiche di sviluppo e sicurezza.

Lo guida il capo di Stato mauritano Ould Abdel Aziz, che definisce il gruppo come «il quadro istituzionale di coordinamento e sorveglianza della cooperazione regionale che vuole rispondere alla doppia sfida di realizzare progetti di sviluppo economico e sociale, e di coordinare le politiche di sicurezza».

Nel marzo scorso in Camerun nel corso di una riunione dei ministri della difesa dedicata alla questione è stata decisa la creazione di un contingente militare comune di tremila uomini per la sicurezza delle regioni transfrontaliere del lago Tchad. II coordinamento fra i paesi membri della Commissione è stato rafforzato in occasione di altre iniziative internazionali, come la conferenza di Parigi, organizzata il17 maggio scorso per far fronte alla minaccia Boko Haram (4).

È il punto di partenza di un ampio programma di salvaguardia la cui realizzazione richiede massimo rigore e trasparenza. Con l’aiuto dei donatori, in primo luogo la Bad e la Banca mondiale, sarà importante predisporre un’unità di controllo che garantisca la sana gestione di questo progetto. Ne va del suo credito e del suo futuro.

Certamente la realizzazione del piano non risolverà da sola i problemi del Sahel e delle regioni più meridionali – in particolare quelle del bacino del lago Tchad. Ma può avviare un processo di trasformazione dei metodi di gestione locali, nazionali e regionali. Questo lancerebbe a sua volta una dinamica di sviluppo economico, portatrice di nuove prospettive per le popolazioni interessate, minate dalla povertà e dai conflitti.

Lavorare insieme per il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli è lo strumento più efficace di cui disponiamo per andare oltre le diffidenze, i rancori e le divisioni che, sotto ogni cielo, sono ostacoli insormontabili al consolidamento della pace e dello sviluppo.

 

(Traduzione di M. C.)

Note

(1) La Commissione del bacino del lago Tchad fu creata nel 1964 dai quattro paesi rivieraschi del lago, ai quali si aggiunsero la Repubblica centrafricana e la Libia. Hanno lo status di osservatori altri paesi egualmente interessati al destino del bacino, come Sudan, Egitto, Congo e Repubblica democratica del Congo. www.cblt.org

(2) www.transaquaprojectit

(3) Conferenza organizzata presso la Fondazione per la collaborazione tra i popoli.

(4) Che ha anche permesso di riconciliare Camerun e Nigeria.

(Lire ici l’article en francais)

 

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16

Jul

Sauvegarder le lac Tchad est une condition indispensable pour la paix et le développement dans le Sahel et en Afrique

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Una ressource dont dépendent trente millions de personnes

LE SAUVETAGE DU LAC TCHAD, ESPOIR DE PAIX

Article par Romano Prodi* sur Le Monde Diplomatique, juillet 2014

(leggi qui l’articolo in italiano)

Rare ressource en eau pour un bassin de trente millions d’habitants au coeur du Sahel, le lac Tchad disparaît sous la pression des riverains et l’avancée du désert. Une revitalisation devient d’autant plus indispensable qu’elle favoriserait la paix dans une région instable. L’ancien président de la Commission européenne plaide ici pour la réussite du programme.

Le lac Tchad se trouve au coeur d’une région d’Afrique centrale caractérisée par une désertification galopante et une croissance démographique record. Situé à la porte du Sahara, il est vulnérable au régime des pluies, qui font depuis toujours fortement varier son niveau. La topographie particulièrement plate de son bassin provoque des mouvements spectaculaires. Depuis 1962, les eaux ont baissé de quatre mètres. En outre, à partir des années 1980, les évolutions climatiques, telles que la sécheresse et les pluies trop faibles, ainsi que la surexploitation des ressources par les riverains – 75% des eaux seraient détournées en amont – ont ramené sa taille à moins de deux mille cinq cents kilomètres carrés – à peine 10 % de ce qu’elle était il y a cinquante ans.

En dépit des efforts déployés localement pour assurer une gestion plus rationnelle des affluents (notamment le Chari et le Logone, qui se rejoignent à N’Djamena), les besoins en eau de trente millions de personnes pour l’alimentation, la pêche, l’élevage, l’agriculture, dans un contexte de raréfaction, suscitent des tensions et accélèrent la disparition de cette ressource fondamentale. Important foyer de bio – diversité pour cette région d’Afrique, le lac Tchad risque de subir le même sort que la mer d’Aral, en Asie centrale. Si rien n’est fait, il pourrait disparaître rapidement.

Au cours des dernières années, les Etats de la région ont été confrontés à des crises politiques, à la montée de la pauvreté et à des interventions internationales : coups d’Etat au Niger et en Centrafrique, violences au Nigeria, tensions postélectorales au Cameroun, opérations militaires au Tchad… La disparition du lac ne pourrait qu’aggraver cette instabilité, ce qui devrait inciter les gouvernements à agir.

Il y a deux ans, les pays riverains, soit le Cameroun, le Niger, le Nigeria et le Tchad, et les autres membres de la Commission du bassin du lac Tchad (CBLT) (1) ont adopté un plan quinquennal d’investissement (2013-2017) de 900millions d’euros. Environ 10% de cette somme devrait être affecté aux actions transfrontalières directement gérées par la CBLT, le reste étant administré par les pays membres et consacré aux zones limitrophes du lac.

A la conférence de Bologne, en avril dernier, les donateurs ont montré leur soutien de principe à ce plan; la Banque mondiale, notamment, pourrait largement contribuer à son financement dans le cadre de son soutien aux pays de la région du Sahel.

Quant à la Banque africaine de développement (BAD), elle a déjà pris l’engagement ferme de débloquer 80 mil lions d’euros.

Ce plan prévoit des interventions destinées à conserver le lac en tant que ressource nécessaire à la lutte contre la pauvreté, à la stabilisation et à l’amélioration des conditions économiques et environnementales de la région. Il ne se contente pas d’intervenir directement sur les niveaux hydriques et sur la qualité de l’eau disponible, mais veut également accroître la productivité des agriculteurs, des pêcheurs et des éleveurs du bassin. Il tend aussi à renforcer les processus d’intégration et de collaboration régionales, en engageant activement la population locale dans les prises de décision et dans la sauvegarde de ses sources de revenus.

Ne plus attendre de nouvelles études

Ces actions se déclinent en sousprogrammes transfrontaliers et nationaux gérés par chaque pays riverain. Il s’agit d’une part de protéger les écosystèmes et de soutenir les activités économiques locales: réhabilitation des centres de pêche, développement de l’élevage de bétail, diffusion de nouvelles techniques pour protéger les récoltes des insectes, parasites ou champignons, et les rives du lac des herbes invasives.

Les projets visent à augmenter la production tout en limitant les dommages à l’environnement, en particulier l’utilisation de pesticides, et en protégeant la biodiversité animale et végétale.

D’autre part, il faut améliorer les ressources hydriques du bassin en qualité et en quantité, aussi bien à travers la captation et le dragage du Chari-Logone que par l’idée – beaucoup plus ambitieuse – de transférer, pendant les saisons favorables, une partie des eaux de la rivière Oubangui, affluent du fleuve Congo (2).

Le projet Transaqua, imaginé il y a plus de trente ans par l’ingénieur italien Marcello Vichi, préconisait une infrastructure multifonctionnelle susceptible de charrier un volume considérable d’eau du bassin du Congo au bassin limitrophe du lac Tchad.

Afin d’accélérer ces projets, les pays membres de la CBLT se sont engagés à ne plus subordonner leurs décisions à la réalisation de nouvelles études, après celles, déjà nombreuses, qui ont ponctué les cinquante ans de vie de la Commission. Car, face à la menace d’une mort imminente du lac, le temps est compté : il faut agir pour inverser la tendance et redonner espoir aux populations.

Le programme de développement durable du lac Tchad (Prodebalt), lancé en 2008 avec un budget de 60 millions d’euros, et financé pour moitié par la BAD avec le concours de l’Union européenne, a été actualisé. Il prévoit notamment des travaux de défense et de restauration des sols, ainsi que la fixation de dunes sur huit mille hectares ou la régénération des écosystèmes pastoraux sur vingt-trois mille hectares.

Si les pays membres de la CBLT contribuent eux-mêmes à la réalisation du plan quinquennal, ils lancent aussi un appel international sans précédent. La mission de récolter ces contributions – publiques et privées – a été confiée à deux personnalités africaines de premier plan : l’ancien président nigérian Olusegun Obasanjo et l’ancien ministre burkinabé des affaires étrangères Hama Arba Diallo. Le président en exercice de l’Union africaine, le Mauritanien Mohamed Ould Abdel Aziz, et la présidente de la Commission de l’Union africaine (équivalent de la Commission européenne), la Sud-Africaine Nkosazana Dlamini-Zuma, soutiennent l’initiative.

Ce plan entend prouver la capacité des pays africains à affronter des crises de grande envergure. Il incitera par ailleurs à une plus forte solidarité internationale, non seulement par des aides financières, mais aussi en mettant à disposition de la CBLT des techniciens et des scientifiques expérimentés.

C’est pour toutes ces raisons qu’a eu lieu à l’initiative du président nigérien Mahamadou Issoufou, les 4 et 5 avril 2014 à Bologne une conférence internationale dont le but était de réunir des financements pour le sauvetage du lac Tchad (3).

Elle s’est conclue par la déclaration de Bologne, qui définit les priorités. Elle prévoit la constitution d’un comité de suivi dont la tâche sera de continuer la mobilisation internationale.

La création d’un comité scientifique mondial assurant au projet les compétences les plus qualifiées devrait suivre.

Le rapport que j’ai remis au Conseil de sécurité des Nations unies (ONU) au terme d’une mission d’envoyé spécial du secrétaire général pour le Sahel, au cours de laquelle j’étais chargé de rechercher des solutions pouvant réduire les tensions, renforcer le dialogue et dépasser les conflits, suggère cinq directions prioritaires d’intervention, à commencer par la nécessité de garantir l’approvisionnement des populations en eau et, bien sûr, en nourriture. J’ai également souligné leurs exigences en matière d’infrastructures, de santé, d’instruction et d’énergie.

Ce plan se concrétise alors que surgissent des foyers de violence sur des territoires contigus toujours plus étendus. Après le Darfour, la Libye, le Soudan et le Mali, la région traverse une nouvelle crise majeure avec la déstabilisation de la République centrafricaine et la multiplication des actes terroristes du groupe Boko Haram, qui dévastent notamment les provinces septentrionales du Nigeria et du Cameroun.

Un projet comme celui de la revitalisation du lac Tchad correspond justement à une stratégie de prévention ou d’endiguement des conflits. Il constitue l’un des plus grands espoirs régionaux face à la pauvreté et au désespoir de la jeunesse, mais aussi face aux guerres et au terrorisme. Coordination politique et militaire LA nouvelle orientation politique des pays de la CBLT a déjà produit ses premiers effets dans le renforcement de l’ordre public et de la sécurité collective. Réunis en minisommet à Nouakchott, le 16 février, les présidents de la Mauritanie, du Burkina Faso, du Mali, du Tchad et du Niger ont créé le “G5 du Sahel” afin de coordonner leurs politiques de développement et de sécurité.

A sa tête, le chef de l’Etat mauritanien, M. Ould Abdel Aziz, définit ce groupe comme le “cadre institutionnel de coordination et de surveillance de la coopération régionale qui entend répondre au double défi de réaliser des projets de développement économique et social, et de coordonner les politiques de sécurité “. Un contingent militaire commun de trois mille hommes sécurisant les régions transfrontalières du lac Tchad a été lancé au Cameroun en mars dernier, lors d’une réunion des ministres de la défense consacrée à la sécurité. La coordination entre les pays membres de la Commission a été renforcée à l’occasion d’autres initiatives internationales, telle la conférence de Paris, organisée le 17 mai dernier pour faire face à la menace Boko Haram (4).

C’est le point de départ d’un vaste programme de sauvegarde dont la réalisation exige la plus grande rigueur et la plus grande transparence. Avec l’aide des donateurs, et d’abord de la BAD et de la Banque mondiale, il importera de mettre en place une unité de contrôle qui garantisse la saine gestion de ce projet. Il en va de son crédit et de son avenir. Certes, la réalisation de ce plan ne résoudra pas à elle seule les problèmes du Sahel et des régions plus méridionales – en particulier ceux du bassin du lac Tchad.

Mais elle peut amorcer un processus de transformation des méthodes de gestion locales, nationales et régionales. Lequel lancerait à son tour une dynamique de développement économique, ouvrant de nouvelles perspectives pour les populations concernées, minées par la pauvreté et les conflits.

Travailler ensemble à l’amélioration des conditions de vie des peuples est le meilleur instrument dont nous disposions pour dépasser les méfiances, les rancoeurs et les divisions qui, sous n’importe quels cieux, sont autant d’obstacles insurmontables à la consolidation de la paix et du développement.

 

Notes

* Ancien président du conseil italien et de la Commission européenne. Envoyé spécial de l’Organisation des Nations unies pour le Sahel en 2012 et 2013.

(1) La Commission du bassin du lac Tchada a été créée en 1964 par les quatre pays riverains du lac, auxquels se sont jointes la République centrafricaine et la Libye. D’autres pays également intéressés par le sort du bassin, tels le Soudan, l’Egypte, le Congo et la République démocratique du Congo, ont un statut d’observateur. www.cblt.org
(2) www.transaquaproject.it
(3) Conférence organisée à la Fondation pour la collaboration entre les peuples.
(4) Qui a également permis de réconcilier Cameroun et Nigeria.

(leggi qui l’articolo in italiano)

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5

Apr

Conferenza dei donatori per la Rivitalizzazione del Lago Tchad – Bologna, 4-5 aprile 2014

Inserito da admin  - Pubblicato in Lago Tchad, Riflessioni sul Mondo

Lake-TchadFondazione per la Collaborazione tra i Popoli

Commissione del Bacino del Lago Tchad

Conferenza dei donatori

per la rivitalizzazione del Lago Tchad

Bologna – Rimini; Italia 4-5 aprile 2014

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“Esaurita la grande risorsa di acqua dolce del lago Tchad, la vita degli oltre 30 milioni di persone che vivono nell’area del Sahel è a rischio. Per questa ragione l’impegno assunto dalla Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli con la Commissione del Bacino del lago Tchad allo scopo di raccogliere fondi per la rivitalizzazione del lago, interpreta nel modo migliore gli obiettivi e i fini della Fondazione stessa.”

Così il Presidente Romano Prodi ha commentato l’ apertura del lavori della Conferenza dei donatori per la rivitalizzazione del lago Tchad che è stata presentata alla stampa a Bologna venerdì, 4 aprile, alle ore 15.30 in Cappella Farnese -Palazzo D’Accursio. I lavori sono continuati sabato 5 aprile, a Rimini, presso il Grand Hotel.

“Se non sarà contrastato in modo efficace, l’inaridimento del lago provocherà un disastro ecologico, economico ed umano di enormi proporzioni e assisteremmo così all’aggravarsi delle già difficili condizioni di quelle popolazioni la cui sopravvivenza è strettamente connessa alla vita del lago stesso, con il rischio che l’interazione di fattori di fragilità, quali la povertà, possano riaccendere nuovi conflitti in quella zona ed arrivare a minacciare la pace internazionale.”

In apertura della Conferenza il Presidente Romano Prodi ha letto il messaggio del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano.

I lavori sono proseguiti con l’ intervento del Professor Romano Prodi alla presenza dei Capi di Stato e delle delegazioni dei Paesi membri della Commissione per il bacino del Lago.

Hanno partecipato alla Conferenza il Presidente della Mauritania e Presidente di turno dell’Unione Africana, Mohamed Ould Abdel Aziz, Il Presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, Il Presidente del Chad, Idriss Déby Itno, la Presidente della Commissione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma e il già Presidente della Nigeria, Olusegun Obasanjo.

Il Sindaco di Bologna Virginio Merola, ha portato il saluto della città.

Hanno partecipato anche Lapo Pistelli, Viceministro degli affari esteri, Vasco Errani, Presidente della Regione Emilia Romagna, Vincenzo Stingone, Questore di Bologna e Ennio Mario Sodano, Prefetto di Bologna.

Al termine dei lavori, conclusisi sabato 5 aprile, a Rimini, presso il Grand Hotel, è stata redatta ed approvata la “Dichiarazione di Bologna” dei donatori per il finanziamento del piano quinquennale di investimento per la rivitalizzazione del Lago Tchad.

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L’iniziativa è stata realizzata anche grazie al contributo

della Banca popolare dell’Emilia Romagna GRUPPO BPER

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tchadLe acque del lago Tchad rappresentavano una delle più importanti riserve idriche dell’Africa

Oggi, a causa del grave processo di inaridimento e della riduzione della sua superficie, rischia di scomparire. Si tratterebbe di un disastro umanitario ed ecologico di portata enorme che coinvolgerebbe oltre 30 milioni di abitanti della regione saheliana. L’interazione di fattori negativi come la povertà, la fragilità degli Stati, le penetrazioni terroristiche e le diversità culturali hanno già provocato guerre e destabilizzazione in molti paesi dell’area. Un aggravarsi delle condizioni ambientali e di povertà non potrebbe che accentuare tali fenomeni in sede locale, con il rischio di uscire da quelle frontiere e minacciare la stessa pace internazionale.

Con urgenza si è posta quindi all’attenzione, non solo africana, la necessità di invertire tale processo con interventi capaci di ridare vita al lago con nuove prospettive di vita e di sviluppo per le popolazioni che abitano in quella regione. L’iniziativa della conferenza di Bologna è stata promossa, con il determinante appoggio della Fondazione per la Collaborazione fra i Popoli e con il personale impegno del Presidente Prodi, dalla Commissione del bacino del lago Ciad, organismo regionale al quale aderiscono i quattro stati rivieraschi: Camerun, Ciad, Niger, Nigeria più la Repubblica Centrafricana e la Libia. A loro sostegno si sono aggiunti grandi paesi che a vario titolo sono interessati all’impresa e cioè il Sudan, l’Egitto, la Repubblica del Congo (Brazaville) e la Repubblica Democratica del Congo (Kinshasa) in qualità di osservatori.

Mission reconnaissance Ounianga , GCMSi tratta di una coraggiosa assunzione di responsabilità dei paesi africani per risolvere un problema di grandi dimensioni utilizzando risorse proprie e con l’intenzione di rivolgere, da Bologna e Rimini un appello alla comunità internazionale perché dagli studi si passi finalmente alla fase degli interventi mirati per il recupero dell’ecosistema devastato. Oltre 60 delegazioni sono state invitate in rappresentanza di tutte le maggiori Istituzioni finanziarie internazionali del mondo. Analogo invito è stato rivolto alle Organizzazioni di cooperazione bilaterale e multilaterale, alle Fondazioni private ed agli Stati maggiormente presenti in Africa con le loro attività economiche. L’Africa sarà rappresentata ai più alti livelli oltre che dai paesi della Commissione anche dal Presidente di turno dell’Unione Africana e Presidente della Mauritania, Sig. Abdul Aziz, e dal Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Sig. Nkosazana Dlamini-Zuma.

L’iniziativa si propone la realizzazione di imponenti opere idrauliche e gli interventi di adattamento e miglioramento dell’agricoltura, della zootecnia, delle tecniche di irrigazione e dell’organizzazione del lavoro e della produzione. Sono previsti piani progressivi quinquennali con un costo attualmente stimato di oltre un miliardo di dollari e con effetti che si prevedono particolarmente positivi non solo sul piano della lotta alla povertà e della malnutrizione, ma anche su quello della sicurezza e collaborazione regionale.

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Click qui per una selezione dalla Rassegna Stampa

(aggiornata al 27 maggio 2014)

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5

Apr

Dalla Rassegna stampa sulla Conferenza per la rivitalizzazione del lago Tchad

Inserito da ll  - Pubblicato in Lago Tchad, Riflessioni sul Mondo

Una selezione dalla Rassegna Stampa

(aggiornata al 27 maggio 2014)

SONY DSCl’Espresso

  • Salviamo il lago contro Boko Haram

Africa e Affari

  • L’Europa armonizzi la sua politica e l’italia smetta di chiudere gli occhi

InfoAfrica

  • Lago Chad, a Bologna e Rimini con Prodi per Conferenza Internazionale
  • Lago Chad: da Bologna un appello per mobilitare la comunità internazionale
  • A colloquio con Prodi e Obasanjo: rivitalizzare il lago Ciad significa sviluppo e sicurezza (1)
  • A colloquio con Prodi e Obasanjo: rivitalizzare il lago Ciad significa sviluppo e sicurezza (2)
  • Conferenza lago Ciad: Pistelli Ecco perchè all’Italia il ruolo di facilitatore
  • Conferenza lago Ciad a Rimini limpegno dei donatori internazionali

AtlasWeb

  • Da Bologna un appello al mondo per salvare il Lago Chad
  • Salvare il Lago Ciad da Rimini il rilancio della mobilitazione internazionale

La Republica

  • Summit a Bologna per l’Emergenza Tchad
  • Prodi e i leader africani a Bologna per parlare dell’emergenza Tchad

Il Sole 24 Ore

  • Effetto serra il lago Chad rischia di scomparire
  • Un piano internazionale per salvare il lago Chad

Corriere Della Sera

  • Allarme siccità, il lago Chad rischia di scomparire
  • Piu’ investimenti per salvare il Lago Ciad

Il Secolo XIX

  • Summit emergenza Tchad. Prodi: “Dare una mano, altrimenti africani verranno qui”

lake-chad2OltreRadio

  • Emergenze Africa. Parla Romano Prodi

AltaRimini

  • Africa: a Rimini si cerca aiuto per salvare il lago Ciad, a rischio di scomparsa

Ingegneri CC

  • Evitare la scomparsa del lago Chad: ci vogliono ingegneri e competenze tecniche
  • Rimini: Ordine Ingegneri, ‘Evitare scomparsa del Lago Chad’

________________________

Afrique – Asie (F)

  • Lac Tchad: Une nouvelle ère ?
  • Prodi: “Il faut avoir une vision d’ensemble”
  • Pur sauver le lac, la CBLT gagne en dynamisme

Radio Vaticana (VA)

  • Lago Ciad: per salvarlo chiesti fondi e cordinamento

RtV San Marino (RSM)

  • Rimini: intervista a Romano Prodi alla Conferenza per la rivitalizzazione del lago Tchad

Journal du Tchad (TCH)

  • Bologne: l’UE au chevet du lac Tchad

Adiac Congo (RCB)

  • Le salut du lac Tchad passe aussi… par Bologne !
  • Romano Prodi insiste : sauver le lac Tchad est un impératif mondial !

Tahalil (RIM)

  • Table ronde sur le financement du plan quinquennal d’investissement dans le Bassin du Lac Tchad

Cameroon 1 (CAM)

  • Le Salut Du Lac Tchad Passe Aussi… Par Bologne !

lake-chad3Le Sahel (-)

  • Table ronde des Bailleurs de fonds de la CBLT, à Bologne et à Rimini, (en Italie)/Plaidoyer pour la préservation du Lac Tchad

MISNA (-)

  • Lac Tchad : Urgence de fonds et de coordination. Á La Une Économie et Politique Nature et environnement

All Africa (-)

  • Sauver le lac Tchad est un impératif mondial
  • Afrique Centrale: Romano Prodi insiste – Sauver le lac Tchad est un impératif mondial !

RFI (F)

  • Lac Tchad: la conférence de Rimini marque une prise de conscience
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  • Italiano

Il Punto

  • Il Punto della situazione
    Brevi note sulle attività della Fondazione

Conferenze


  • La nuova Europa
    Bologna 2021

    Bologna al Futuro
    Bologna 2020

    Dialoghi sul mondo 2018

    Connectivity as a human right
    Vatican City 2017

    (see / vedi slide)
    Science Diplomacy
    Bologna 2017

    Along The Silk
    Roads Venezia '16

    Roma
    2015

    Rimini
    2014

    Beijing
    2013

    Addis Ababa
    2012
    2nd Conference - Africa: 53
Countries, One Union - The New Challenges
    Washington
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    Bologna
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