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5

Dec

Nelson Mandela ha dato la libertà al suo Paese, ma ne ha trasmesso il segno in tutto il mondo

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“La notizia della morte di Nelson Mandela lascia uno grande senso di vuoto”, ha detto Romano Prodi.

“Tanta è stata la forza della sua azione sin dall’inizio della lotta per i diritti della sua gente. Nelson Mandela ha dato la libertà al suo Paese, ma della libertà ha trasmesso il segno anche in tutto il mondo”.

“Speranza e spinta al cambiamento sono state le leve della sua straordinaria opera, e mai vendetta, ma sempre volontà di riconciliazione. Lo piangiamo, ma allo stesso tempo gli siamo estremamente grati per il ricordo e l’insegnamento che ci lascia”.

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10

Jun

Africa unita, per il futuro

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Unita per il futuro

Intervista di Vincenzo Giardina a Romano Prodi in copertina di Misna del 9 giugno 2011

“Bisogna coltivare l’utopia dell’integrazione interafricana” dice alla MISNA Romano Prodi, ex presidente della Commissione europea, ex presidente del Consiglio italiano, ma soprattutto uomo che guarda lontano come ha confermato un suo studio per conto dell’Onu e dell’Unione africana sulle missioni di pace a sud del Sahara.

La settimana prossima a Washington la sua Fondazione per la collaborazione tra i popoli organizza una conferenza dal titolo “Africa 53 Stati – Una unione. Le nuove sfide”. È la seconda tappa di un percorso che si concluderà l’anno prossimo ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia e sede dell’Ua. Dalla guerra in Libia alla divisione del Sudan, ammette Prodi, la strada si fa più difficile…

Presidente, il 15 e 16 giugno si discuterà di integrazione africana come unica via per lo sviluppo. Ma intanto il continente si divide…

“È vero, il continente purtroppo si divide. Ma è meglio separare i problemi. L’indipendenza del Sud Sudan da Khartoum è la conclusione di un processo lunghissimo e, per questo, non stupisce. Allo stesso tempo è il segno di un continente in cui, non dico la ricerca dell’unità, ma anche solo una collaborazione più stretta tra i paesi è assolutamente difficile. Nel caso della Libia ci sono le tensioni e le proteste alimentate da un regime autoritario ma anche divisioni profonde tra Tripolitania e Cirenaica, in epoca coloniale province distinte. Un altro elemento è che nel bene e nel male Muammar Gheddafi è stato un forte contributore materiale dell’Unione africana, nonostante questo aiuto sempre rimasta povera di mezzi. Anche in futuro, dunque, l’esiguità di risorse finanziarie creerà problemi molto seri all’Ua. Debbo ammettere, d’altra parte, che non pochi Stati africani diffidano di un’Unione forte o condizionano i loro contributi alla trasparenza dei conti e alle scelte politiche. Tutti questi fattori rendono più difficile l’obiettivo di un’integrazione del continente incentrata sull’Unione africana e le sue deboli organizzazioni regionali”.

Quali sono le “nuove sfide” per il continente?

“Vediamo le difficoltà, ma non perdiamo la fede nel disegno di favorire la cooperazione tra i paesi africani. È l’unica alternativa a che il continente diventi terreno di scontro tra clan contrapposti e grandi potenze. O c’è un dialogo che coinvolga l’Europa, gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione africana oppure la crescente influenza di Pechino si scontrerà con la resistenza della Francia nei paesi francofoni, della Gran Bretagna nei paesi anglofoni e degli Stati Uniti nei paesi amici del Golfo di Guinea. Gli africani saranno così deboli che potranno solo affidarsi a un sostegno esterno o, peggio ancora, subire una penetrazione dall’esterno. Il continente è il più grande serbatoio di energie e risorse naturali di un mondo che va verso i nove miliardi di abitanti. O obblighiamo le grandi potenze a dialogare tra loro o riprodurremo nel XXI secolo uno scenario già visto”.

A sud del Sahara esiste il rischio di un’integrazione economica che non preveda collaborazione politica?

“L’integrazione economica presuppone quella politica. Per costruire infrastrutture regionali o creare un mercato comune serve la collaborazione tra i governi. Ma Stati africani separati non sono in grado di contrapporsi all’Europa, alla Cina o all’America. Se le ex potenze coloniali adottano una politica del ‘divide et impera’ per l’Africa non c’è speranza”.

Dalla Costa d’Avorio alla Libia, l’Unione africana ha fallito nel compito di garantire la pace?

“Per forza che ha fallito! È come quando togliamo potere all’Onu e poi diciamo che non interviene. Come fa l’Unione africana a non mostrare la sua debolezza? Le mie proposte sul trasferimento di risorse per le missioni di mantenimento della pace dell’Unione africana sono state bloccate dal veto di Francia e Gran Bretagna. Non possiamo tagliare le gambe a un atleta e lamentarci che non corre. In Africa quando scoppia un conflitto si fa ricorso a truppe di vari paesi, spesso male organizzate e non coordinate tra loro; per la formazione dei contingenti di ‘peacekeeper’ mancano le strutture di finanziamento”.

Come giudica la politica italiana nella crisi libica? Dal Trattato di amicizia con Gheddafi si è passati alle promesse di “enormi somme di denaro” ai rivoltosi di Bengasi.

“Preferirei limitarmi a due osservazioni. Prima dell’inizio dell’intervento militare della Nato non sono state esperite fino in fondo le possibilità di una soluzione non conflittuale. Ogni giorno, poi, vedo continue capriole: facce feroci diventano subito indecisioni o dimostrazioni di apertura. Questi aspetti contraddittori mi rendono inquieto”.

Si è scritto di un suo ruolo come mediatore per la Libia incaricato dall’Unione europea. È una possibilità?

“Finora nessuno mi ha contattato, neanche in fase esplorativa. Poi, se nelle cancellerie si facciano di queste ipotesi…”

Mentre i caccia della Nato bombardano Tripoli, potenze emergenti come Cina, India e Brasile fanno affari.

“India e Cina si rincorrono l’un l’altra. New Delhi vorrebbe riprendere l’iniziativa anche per motivi storici, penso alla forte presenza a sud del Sahara di migranti originari dell’India. A oggi, però, la dimensione quantitativa delle attività cinesi è molto superiore. Pechino ha senz’altro contribuito allo sviluppo macroeconomico dell’Africa ma non alla ridistribuzione del reddito, cioè alla giustizia. Quanto questo sia da addebitare alla Cina o ai governi africani è un tema su cui meditare”.

E i diritti umani?

“La promozione dei diritti umani deve essere il fatto fondamentale della politica europea. Ma quando la gente muore di fame bisogna capire che ci sono necessità drammatiche alle quali si deve far fronte. Come presidente della Commissione europea mi sono trovato più volte di fronte alla scelta se cooperare con governi non democratici. Ho scelto di cooperare: boicottaggi che spesso colpiscono i tiranneggiati non sono una buona politica”.

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11

Dec

Prodi e altri 25 ex leader europei chiedono sanzioni contro Israele che non ferma gli insediamenti

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Prodi e altri 25 ex leader europei chiedono sanzioni contro Israele che non ferma gli insediamenti

Articolo di Maria Grazia Bruzzone su La Stampa del 11 dicembre 2010

In una lettera inviata a Governi e Istituzioni Ue criticano la politica israeliana e premono perché la Ue riconosca lo Stato di Palestina nei confini del 1967. Un aiuto a Obama.
La notizia rimbalza dal giornale israeliano (ma non filo-governativo) Ha’aretz al sito ufficiale iraniano Press.tv.ir ( le info per una volta coincidono).
Ce la conferma la portavoce del Professore, on. Sandra Zampa. Annunciando che nelle prossime ore la lettera dovrebbe figurare anche sul sito RomanoProdi.it, insieme al testo del documento inviato, ben più corposo.

Tra i firmatari, oltre a Prodi e Amato, 10 ex ministri e 2 ex commissari Ue fra cui l’alto rappresentante per la politica Estera comune Solana, l’ex cancelliere Schmidt, l’ex primo ministro spagnolo Gonzales e l’ex premier norvegese Stoltenberg l’ex presidente della Repubblica Federale tedesca von Weizsacker, l’ex presidente irlandese Robinson.

I firmatari chiedono misure forti contro Israele in risposta alla sua politica di insediamenti nei territori occupati e del suo rifiuto a sottostare alle leggi internazionali, racconta Ha’aretz

Il gruppo formula una serie di raccomandazioni, anche in vista dell’incontro di Londra nella prossima settimana.

Unendosi alla recente decisione dei governi di Brasile e Argentina di riconoscere uno Stato Palestinese libero e indipendente entro i confini del 1967.
Documento e lettera giungono mentre l’amministrazione Usa annuncia il fallimento dei negoziati con Israele sul congelamento degli insediamenti. Secondo Ha’aretz sarebbero personaggi chiave americani ad aver suggerito ai firmatari che la strada migliore per aiutare il presidente Obama nei suoi sforzi per promuovere la pace è far sì che politiche che contraddicono le posizioni Usa abbiano un costo per Israele (di qui la richiesta di sanzioni economiche).

I leader europei sostengono gli sforzi dei palestinesi di cercare un sostegno internazionale per il riconoscimento dello Stato Palestinese in alternativa a negoziati arrivati a una impasse. Osservano che i Palestinesi non possono essere in grado di arrivare ad avere uno Stato indipendente senza un aiuto internazionale, politico ed economico.
Il gruppo chiede dunque che la Ue (finora incerta) giochi un ruolo più efficace e attivo nei confronti degli Stati Uniti, Israele e altri Stati. E chiarisce che una decisione della Ue di approfondire i rapporti con Israele, così come altri accordi bilaterali saranno congelati fino a che Israele non sospende gli insediamenti in Cisdordania e a Gerusalemme Est.

Propongono inoltre che la Ue annunci che non accetterà modifiche ai confini del 1967 che Israele ha allargato in violazione a leggi internazionali e che lo Stato Palestinese dovrebbe coprire un’area della stessa estensione. E dovrebbe anche comprendere Gerusalemme Est come capitale.

Suggeriscono che la Ue sostenga solo eventuali modifiche minori, sulle quail siano d’accordo le due parti.

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10

Jul

Miracolo africano. Leader, sfide e ricchezze del nuovo continente emergente

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Miracolo africano. Leader, sfide e ricchezze del nuovo continente emergente - di Riccardo Barlaam; Massimo Di Nola - Ed: Il Sole 24 OrePrefazione di Romano Prodi al libro ‘Miracolo africano‘ di Riccardo Barlaam e Massimo di Nola edito da Il Sole 24 Ore

L’Africa è un Continente che vive un’importante fase di trasformazione in Italia poco conosciuta. Se ne scrive poco. Ed è una lacuna che tutti dobbiamo contribuire a colmare.

Il Mondo è tornato a guardare alle  grandi potenzialità dei Paesi africani soprattutto per il recente boom dei prezzi delle materie prime. L’Africa detiene, infatti, ancora grandi risorse minerarie, agricole, energetiche. Sono aspetti rilevanti. Ma un’ottica limitata a questi aspetti è  fuorviante e ci porta indietro nel tempo.

L’epoca delle colonie è definitivamente e irreversibilmente finita e oggi queste risorse devono servire in primo luogo agli  africani. I Governi dei loro Paesi  hanno un’agenda impegnativa di obiettivi da raggiungere che in buona parte coincidono con i cosiddetti Millenium Goals: servono infrastrutture, ospedali, scuole, posti di lavoro, sviluppo sociale.

Il tutto in un contesto sostenibile: un tema, questo,  a cui è sensibile un numero crescente di leader politici africani.

Si è scritto anche – in maniera troppo spesso strumentale – della crescente presenza cinese in Africa. La Cina, nel corso degli ultimi anni, ha accresciuto in grande misura la sua presenza nel Continente. In cambio di un accesso alle risorse offre e realizza infrastrutture, fornisce assistenza in campo economico, sanitario, tecnico scientifico, con un massiccio apporto di investimenti. Questo riteniamo che sia un bene per l’Africa e per la Cina. Possono esistere (e vi sono) casi di sfruttamento condannabili ma in questo caso c’è da chiedersi a chi tocca scagliare la prima pietra… E soprattutto occorre separare le responsabilità di aziende e di imprenditori che possono essere cinesi come di qualsiasi altro Paese, dall’approccio del Governo di Pechino, solitamente attento a rispettare le esigenze delle sue controparti. E gli Stati africani sono perfettamente in grado di sapere e di chiedere ciò di cui hanno bisogno.

Invece di parlare di un presunto pericolo cinese per l’Africa, quindi, cerchiamo di studiarlo più a fondo e, soprattutto, cerchiamo di creare, insieme alla Cina, un programma comune, con regole comuni, per fare in modo che anche l’Africa cominci il suo cammino di sviluppo. I Paesi africani hanno bisogno di impegni concreti: questa la sfida che devono oggi affrontare l’Europa e l’Italia.

L’Unione Europea, negli ultimi anni ha prodotto uno sforzo considerevole per dare un indirizzo e  obiettivi chiari e condivisi, nella sua politica di cooperazione con l’Africa. Accanto all’assistenza economica finalizzata allo sviluppo e al raggiungimento degli Obiettivi del millennio,  punta a rafforzare la capacità di Governance degli Stati africani. Si concentra sul rafforzamento delle istituzioni della società civile, della presenza e dello sviluppo dell’imprenditoria locale e soprattutto della cooperazione tra gli stessi Stati Africani.

Il quadro si presenta naturalmente in modo differente per le diverse aree geografiche. Con la sponda  Mediterranea del Continente  esiste già una maggiore spinta verso l’integrazione che coinvolte aspetti del mondo delle imprese, delle organizzazioni e delle strutture della società civile, delle università, della gestione dei flussi migratori ed altri capitoli importanti. Il coordinamento di  questa rete complessa di rapporti fa capo alla cosiddetta politica di vicinato ed è importante proseguire, con maggiore energia, in questa direzione.

Bisogna tuttavia tenere presente che nessuna politica di vicinato o nessuna politica mediterranea può essere portata a compimento senza un adeguato impegno politico e senza i necessari mezzi finanziari che lo sostengono. Né l’uno né l’altro mi sembrano oggi sufficienti per raggiungere un reale livello di integrazione.

Diverso è il caso dell’Africa subsahariana e dell’Africa centrale e meridionale dove, accanto a Paesi in decollo sociale ed economico, esistono Stati che devono ancora risolvere  situazioni di conflitto e che hanno bisogno di costruire dalle fondamenta le proprie istituzioni amministrative, giuridiche e di sicurezza. L’obiettivo in questo caso è di accelerare il processo di consolidamento di questi Stati rafforzando il ruolo svolto dalle istituzioni regionali che si propongono di estendere il livello di integrazione economica e politica del Continente, per culminare nell’Unione Africana, a cui esse fanno riferimento. Si deve in parallelo tracciare un cammino che consenta al maggior numero possibile di questi Paesi di raggiungere uno stato di associazione all’Unione Europea, che comporta un miglior accesso non solo al mercato comunitario ma anche ai diversi strumenti della Ue in campo economico, scientifico, di sviluppo sociale e di tutela della sicurezza e dell’ambiente.

L’Italia si inserisce in questo contesto. Accanto alla Francia e alla Spagna è in grado di svolgere un ruolo di primo piano nella politica euromediterranea. In Africa occorre flessibilità, realismo ma anche una grande dose di entusiasmo. Le potenzialità del nostro Paese, delle nostre imprese, delle nostre istituzioni e della società civile per fornire un contribuito in questa direzione sono veramente grandi e lo dimostrano diversi esempi, alcuni dei quali sono riportati anche in questo libro. Altri si possono citare: ad esempio il contributo della Comunità di Sant’Egidio e del Corpo degli Alpini alla pacificazione del Mozambico. La presenza di numerosissime missioni insediate nelle aree più disagiate del Continente con un costante ruolo di aiuto alle popolazioni locali. L’attività delle miriadi di organizzazioni non governative che lavorano dal basso, lontani dai riflettori.

Un ultimo aspetto di particolare rilevanza è rappresentato dall’emigrazione africana in Europa e in Italia. Anche questo è un fenomeno di cui,  troppo spesso,  si sottolineano gli aspetti che allarmano l’opinione pubblica, dimenticando invece l’enorme contributo che può fornire alla cooperazione tra i nostri due continenti. Emigrazione significa scambio di esperienze, conoscenza reciproca, arricchimento di culture. Gli immigrati ghanesi che dall’Emilia  ritornano al loro Paese per avviare una propria attività imprenditoriale, a cui si fa cenno in questo libro, sono soltanto uno dei mille esempi. Si potrebbe aggiungere il ruolo, svolto nella direzione opposta dal turismo responsabile, e vorrei dire anche aperto a suggestioni nuove. Quante persone, tornate da un viaggio nel Continente, si dichiarano dopo pochi giorni afflitti dal mal d’Africa. Che non è una nuova malattia ma il risultato di un’esperienza positiva, che apre nuovi orizzonti e un diverso modo di vedere gli altri.

L’obiettivo degli autori di questo libro è di suscitare l’attenzione del lettore italiano sui cambiamenti in atto nel Continente prendendo spunto da situazioni particolarmente significative sotto il profilo politico, economico e sociale.

Non è, non vuole e non potrebbe essere quello di proporre un’enciclopedia sull’Africa. Se ne potranno condividere o meno alcune osservazioni,  ma ritengo che sia un contributo che va nella giusta direzione. Conoscere meglio l’Africa di oggi è importante per noi e per i nostri figli.



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24

May

Une intégration progressive de l’Afrique sera le socle du développement du continent

Inserito da admin  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo

Une intégration progressive de l’Afrique sera le socle du développement du continent,

Article publié par Romano Prodi dans Le Monde du 19 mai 2010

Cette année, vingt-trois pays africains fêtent le cinquantenaire de leur indépendance. De nombreux espoirs nés à la fin de la colonisation n’ont toutefois pas pu devenir réalité. Du point de vue politique, économique et humain, les responsabilités de cet échec en matière de développement sont complexes, et elles ont fait l’objet de vives discussions. Néanmoins, ce qui importe, c’est qu’elles soient partagées de façon équitable entre les responsables politiques africains et ceux des pays industrialisés qui, trop souvent, ont agi en poursuivant des intérêts de court terme et qui, de ce fait, ont échoué à construire les bases d’un développement stable et durable.

Toutefois, il est juste de rappeler qu’au cours des dix dernières années on a créé des mécanismes qui ont permis d’obtenir des résultats importants, en contribuant à la diminution des conflits armés et même à une croissance économique soutenue dans certaines zones – encore peu nombreuses – de cette région.

Même si la guerre n’a pas été extirpée du continent africain et bien qu’elle reste encore l’une des principales causes d’instabilité politique et économique, le partenariat entre l’Union africaine (UA) et les Nations unies a contribué à la stabilisation de différentes régions africaines tout en montrant aussi les nécessités de renforcer le rôle de l’UA et les moyens à sa disposition, encore trop insuffisants pour pouvoir répondre aux attentes. Il s’agit d’une stratégie complexe, qui requiert du temps, mais il est nécessaire de la préparer et de la poursuivre.

Ma récente expérience de président du groupe d’experts des Nations unies et de l’Union africaine sur les opérations de maintien de la paix en Afrique m’a amené à des conclusions qui débordent du seul cadre de notre mission. Il est clair, désormais, que l’on ne pourra obtenir davantage de paix, de développement et de prospérité qu’en surmontant la fragmentation politique et économique du continent africain.

Si importants et indéniables que puissent être les progrès accomplis jusqu’ici, il est essentiel de les étendre à d’autres domaines de collaboration entre les différents pays africains. Une plus grande intégration politique et économique est une avancée nécessaire. Elle n’est pas le remède absolu aux maux qui affligent l’Afrique, mais de nombreuses questions, de nature régionale ou continentale, ne trouveront de solution qu’à un échelon supérieur à l’échelon national.

RÉFÉRENCE SYMBOLIQUE

L’histoire de l’Europe, depuis la fin de la seconde guerre mondiale, montre combien l’intégration dans ces domaines peut produire des bénéfices pour tous les pays et pour leurs populations, sans mettre en discussion les intérêts légitimes et les identités nationales des communautés impliquées. La récente réponse à la crise financière grecque, par la coopération de nombreux Etats européens, n’est que la dernière illustration d’un processus dont tout le Vieux Continent a tiré des bénéfices sans précédents, même si ce fut parfois au prix de compromis difficiles.

L’exemple européen, pour d’évidentes raisons historiques, politiques et économiques, ne peut pas et ne doit pas être érigé en modèle pour une intégration future de l’Afrique. Il y a trop de différences entre les deux continents ; trop de différences entre les populations respectives. Néanmoins, il représente une référence historique, et même symbolique, qui peut inspirer de nouveaux projets de coopération entre les Etats et les économies africaines.

C’est pour cette raison que la Fondation pour la collaboration entre les peuples, que je préside, organise le 21 mai à Bologne une conférence dans le but de stimuler le débat sur ce sujet. L’objectif final est de proposer une feuille de route visant à promouvoir le développement et la paix en Afrique par des phases progressives d’intégration, en prévision de deux autres conférences qui auront lieu à Washington en 2011 et à Addis Abeba en 2012.

Je suis convaincu que seule une plus grande coopération entre les pays africains permettra de résoudre bon nombre des problèmes qui touchent le continent. Un objectif qui ne pourra être atteint, soulignons-le, qu’en supprimant les “zones d’influence” économiques et politiques bilatérales qui caractérisent encore la présence des pays développés en Afrique.

Il est grand temps que l’Union africaine, l’Union européenne, les Etats-Unis et la Chine se donnent rendez-vous pour inaugurer une vraie orientation commune à l’égard de ce continent, en dépassant les approches uniquement bilatérales qui ont contribué négativement au développement de l’Afrique. Ce qui doit nous guider à l’avenir, c’est la mise en place progressive d’un processus de coopération. Cela exige, de la part des grands protagonistes de l’économie et de la politique mondiale, une action concertée.

Romano Prodi est président de la Fondation pour la collaboration entre les peuples, et l’ancien président de la Commission européenne (1999-2004).

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24

May

Euro al bivio: o maggiore coordinazione delle politiche economiche o sciglimento

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Articolo di Romano Prodi su Il Sole 24 Ore del 22 maggio 2010

Quando è stato creato l’euro, tutti sapevano che, prima o poi, si sarebbe verificata una crisi. Era inevitabile, infatti, che nell’ambito di un progetto così ambizioso e senza precedenti in alcuni paesi (perfino nei più virtuosi) si sarebbe commesso qualche errore o si sarebbe verificato un evento imprevisto. Altrettanto chiaro, come ho detto anche in passato, è che il Patto di stabilità e di crescita era “stupido”, non perché avesse finalità sbagliate, ma perché si basava su parametri meramente matematici, senza potere discrezionale alcuno, senza strumento politico in grado di farlo rispettare. Germania e Francia sono stati i primi paesi a violarlo, quantunque non in modo destabilizzante: i loro ministri delle Finanze hanno semplicemente deciso di non tener conto delle obiezioni della Commissione europea (verosimilmente perché erano “troppo grandi per poter fallire”).

A causa delle difficoltà politiche, non è stato possibile proteggere l’euro. Per anni ho messo in guardia dal fatto che, benché non sia imputabile a nessuno in particolare, si sarebbero potuti verificare alcuni eventi straordinari che avrebbero costretto a una coordinazione condivisa delle politiche fiscali. Poi è subentrata la crisi greca, seria per ciò che riguarda le violazioni che l’hanno provocata, ma facilmente risolvibile, se si tiene conto delle modeste dimensioni dell’economia di quel paese.

Nondimeno è venuto a mancare un intervento tempestivo, che di fatto ha reso impossibile raggiungere un accordo in tempi rapidi in materia di disciplina fiscale. Le elezioni nello stato tedesco del Nord Reno-Westfalia hanno differito la presa di coscienza che la crisi greca rappresentava un’opportunità notevole per prendere i provvedimenti necessari in direzione di una governance economica che non era possibile quando fu creato l’euro. Ciò comporta la creazione di nuove istituzioni o enti che possano monitorare i budget degli stati membri, imporre la disciplina fiscale e sanzioni per chi viola ripetutamente le normative in questione.

Molti paesi, tuttavia, ancora adesso non sono disponibili a effettuare un cambiamento così radicale in materia di sovranità economica, anche se un’eventuale crisi (e non necessariamente quella greca) è stata argomento al centro di ricorrenti discussioni negli ambienti politici e universitari.

Ci troviamo pertanto a un bivio. L’unica alternativa a una maggiore coordinazione delle politiche economiche è lo scioglimento dell’euro: ciò infliggerebbe però un colpo devastante al progetto europeo e, per la Germania, sarebbe particolarmente rovinoso. Malgrado la ristrutturazione avvenuta negli ultimi dieci anni, la competitività tedesca sarebbe fortemente ridimensionata da svalutazioni monetarie nei paesi periferici della zona euro. Di conseguenza, le sue eccedenze commerciali si prosciugherebbero in poco tempo.

A suo tempo mi adoperai moltissimo per far entrare l’Italia nella zona euro, per dare al mio paese la disciplina di cui necessitava, per porre fine alla sfilza di continue svalutazioni monetarie che avevano reso fragile la sua economia e pregiudicato le sue finanze pubbliche, malgrado la presenza di un forte settore manifatturiero.

Considero pertanto le recenti decisioni prese a Bruxelles un passo importantissimo in direzione di una creazione graduale del federalismo fiscale europeo. Mettere insieme le risorse dei paesi dell’Eurozona e della Commissione con quelle della Bce è un progresso notevole rispetto al Patto di stabilità e di crescita. Di fatto, la creazione di enti in grado di operare preventivamente e intervenire con successo implicherebbe che il Patto è stato ormai sostituito da un coordinamento più efficace.

La parte più rilevante del nuovo Fondo di stabilizzazione europea – del valore di 440 miliardi di euro – è formata dai fondi nazionali di 16 paesi della zona euro ed è limitata a tre anni; ma noi tutti sappiamo quanto sia difficile tirarsi indietro rispetto a un obbligo simile.

Sebbene le divisioni politiche e i ritardi nel processo decisionale abbiano indebolito fortemente l’euro e innescato grande scompiglio nei mercati, la decisione di puntellarlo con una collaborazione finanziaria vicendevole è un considerevole passo avanti.

Incertezze continueranno a esserci, perché molti aspetti operativi legati all’attuazione delle decisioni prese hanno ambiti e contorni alquanto ampi. Tuttavia, la Bce, la Commissione e la maggior parte dei paesi europei hanno ricevuto poteri più forti, incarichi e responsabilità maggiori e di più vasta portata rispetto al passato, e i mercati ne terranno sicuramente conto.

Resta da capire come si concretizzeranno questi poteri, nel momento in cui vari paesi devono affrontare l’irrequietezza politica e in qualche caso veri e propri disordini tra la popolazione in conseguenza dei provvedimenti d’austerità varati. Nondimeno, anche se questo intervento di salvataggio è arrivato in ritardo rispetto a quanto sperato, con una spesa estremamente più alta, dopo che è stato arrecato un danno all’immagine dell’Europa, adesso l’Unione Europea ha imboccato la rotta giusta. L’accordo di Bruxelles dimostra che non esiste alternativa positiva all’euro.

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30

Nov

Bilancio 2009 ed uno sguardo al 2010

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Attività 2009

(aggiornamento al 31 ottobre 2009)

La Fondazione Per la Collaborazione tra i popoli, è stata istituita nel 2008, con lo scopo specifico, come recita lo Statuto, di “affrontare le problematiche sociali, culturali, economiche, politiche del mondo, al fine di favorirne la soluzione grazie alle elaborazioni di nuove proposte di collaborazione nel contesto internazionale” . A partire dall’Europa come protagonista di un mondo futuro effettivamente multipolare in cui i nuovi protagonisti come la Cina, l’India, ecc. dovranno condividere più ampie responsabilità, nel 2009 ha operato su quattro fronti a livello globale: in Africa, in Palestina, in Iran e in Cina. Molto spesso l’attività della Fondazione ha coinciso con i viaggi in queste ed altre aree del mondo di Romano Prodi e di altri membri della Fondazione stessa. In alcuni casi gli incontri si sono tenuti nella sede di Bologna.

Africa

Partendo dall’ambito delle Nazione Unite è proseguita la collaborazione con il Segretario Generale e con il DPKO ( Division for Peace Keeping Operations ), per la ristrutturazione organizzativa e finanziaria del Peacekeeping in Africa.

Nell’ambito di questo progetto sono stati tre i momenti significativi:

” due partecipazioni di Romano Prodi a riunioni del Consiglio di Sicurezza dedicate all’argomento della Pace in Africa.

” Incontro a Bologna con i rappresentanti delle Tribù Africane, dopo aver constatato la grande rilevanza delle stesse in tutti gli aspetti dei vari conflitti.

” una missione in Sudan con incontri al massimo livello dal Presidente Bashir al Vice Presidente  Salva Kirr. Al centro dei colloqui i temi della libertà di stampa, della liberazione di ostaggi, delle tensioni tra il Nord e il Sud del paese. L’avvicinamento alle Elezioni e al Referendum.

” Incontri con diversi capi di stato africani tra i quali il presidente Egiziano Hosni Mubarak e il presidente della repubblica islamica di Libia Gaddafi, presidente dell’Unione Africana.

” Le tematiche incentrate sui problemi africani sono state trattate anche in alcuni viaggi del Presidente Prodi in paesi chiave sullo scacchiere mondiale come la Russia e il Messico. Negli stessi viaggi l’incontri sono stai al massimo livello anche istituzionale.

Palestina

Dopo un preliminare incontro a Gerusalemme con Abu Mazen e Simon Peres, il momento significativo è coinciso con un ulteriore viaggio in Palestina, per la precisione a Nablus, dove si sono tenuti incontri con i massimi responsabili religiosi e i dirigenti politici palestinesi rappresentanti di tutte le parti politiche. Nei lunghi e cordiali colloqui è stata caldeggiata la necessità di una pacificazione all’interno del mondo Palestinese senza la quale terrorismo e violenza diventano inevitabili.   

Iran

L’attività in Iran ha preso avvio con la collaborazione con la Fondazione Khatami che è consistita nella partecipazione ad una serie di incontri a Tehran sul tema del confronto interculturale.

Al momento, dopo i noti eventi seguenti le elezioni per problemi di libertà di espressione da parte Iraniana la collaborazione è stata di fatto sospesa. Sarà ripresa apertamente appena le condizioni saranno favorevoli.

Cina

Nell’ultimo anno sono stati numerosi gli incontri e le conferenze al massimo livello sull’opportunità di collaborazione tra l’Unione Europea e la Cina.  Al centro delle discussioni anche il ruolo sempre crescente della Cina sullo scacchiere africano con l’ambizione di coinvolgere il gigante cinese nell’azione di favorire la pace e lo sviluppo del continente ‘nero’. A seguito degli incontri la Cina è apparsa sempre molto sensibile alla necessità di operare con decisione per la pace e lo sviluppo del continente.

Nel biennio 2008-2009 sono stati numerosi inoltre i viaggi in Africa sia nell’ambito dell’attività di Romano Prodi all’interno della Commissione per il peacekeeping in Africa, sia nell’ambito di un’ampia rosa di colloqui con i diversi leader africani e con i rappresentanti dell’Unione Africana.

Nel mese di novembre del 2009 la Fondazione ha tenuto, a Washington, presso l’ambasciata Italiana negli Stati Uniti, un incontro con i maggiori responsabili dei problemi africani delle Istituzioni Americane, per affrontare il tema di una strategia comune tra gli  Stati Uniti ,l’Europa e la Cina nei confronti dell’Unione Africana.

Programma delle attività previste per il 2010

L’attività della Fondazione proseguirà secondo le linee seguite nel 2009, con una rilevante innovazione.

Si tratta dell’organizzazione di alcuni eventi rivolti al pubblico oltre che agli addetti ai lavori. Si terranno congressi, conferenze, seminari che avranno lo specifico intento di permettere un completo approfondimento dei temi cari alla Fondazione. Inoltre questi appuntamenti potranno diventare occasione di finanziamento della Fondazione stessa.

Altra importante novità sarà la collaborazione, nella fase di progettazione e organizzazione di questi eventi, con altri istituti e fondazioni di alto livello italiani e stranieri.

Sono già in corso contatti ed esperienze in questo senso con la SAIS (diretta espressione dell’Università “John Hopkins”),  la Kennedy Foundation,  il Ceibs (China Europe International Business School) di Shaghai e il FAP (Foundation for American Progress) di Washington.

 

Il primo evento di rilievo in Italia, in questo momento in via di definizione, sarà una Conferenza che si terrà nella seconda metà della prossima primavera intitolato ‘Africa, 53 countries , one continent’.  La Conferenza sarà centrata sulla necessità che i paesi avanzati e gli organismi internazionali, quali World Bank e UNDP, operino nei confronti dell’ Africa sempre più a livello multilaterale, visto che Il rapporto esclusivo  con i singoli paesi, che rappresenta la strategia utilizzata finora non aiuta il continente ad uscire dalla frammentazione, uno dei primi ostacoli al suo sviluppo.

Un altro evento di questo genere è in via di programmazione nella seconda metà dell’autunno 2010.

Vedere anche: Elenco delle attività del Presidente Romano Prodi negli anni 2008-2009

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30

Nov

Elenco delle attività del Presidente Romano Prodi negli anni 2008-2009

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Elenco delle attività del Presidente Romano Prodi negli anni 2008-2009

  • 30-5-09 Discorso all’Università di Tarragona, Spagna  nell’occasione, ritiro del premio per il dialogo interculturale nel Mediterraneo. Lezione all’università di Santander
  • 02-06-08 Francoforte, Germania. Partecipazione alla celebrazione del decennale della Banca Centrale Europea
  • 21-06-08 Lione, Francia, partecipazione agli “Stati generali” dell’Unione Europea.
  • Zurigo, Svizzera, oratore alla Conferenza Winston Churchill, in ricordo del discorso pro-Europa tenuto nel 1948 da Churchill, che si svolge ogni anno presso l’Università di Zurigo.
  • Settembre 2008 Tirana, Albania, lezioni ad un  corso tenuto dall’Università di Bologna presso l’Università della Nostra Signora del Buon Consiglio a Tirana alla presenza del Presidente della Repubblica, il Primo Ministro, il Presidente del Parlamento, i sindaci di Tirana e Durazzo.
  • 13-10-08 Teheran, Iran partecipazione all’ incontro della Fondazione Khatami sul dialogo fra le religioni, dal titolo “Religion in the modern world”, tra i partecipanti, Kofi Annan.
  • 01-11-2008 New York, Stati Uniti, sede dell’Onu. Incontri con Ban Ki Moon, segretario generale delle Nazioni Unite su proposte operative della Commissione sul peacekeeping in Africa.
  • 21-11-08: Pechino, Cina. Avvio della collaborazione con la China Europe International Business School (Ceibs), prima business school della Cina e ottava nel mondo. Nell’ambito della visita intervento al Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese a Pechino e  incontro con il Premier cinese Wen Jabao (26-11-08)
  • 15-01-09 Il Cairo, Egitto, Incontro con il presidente Hosni Mubarak su temi di politica internazionale. Si è invece concentrato sui problemi tecnici del Peacekeeping e sul ruolo dell’Egitto l’incontro con il Ministro della Difesa Tantawi e con il Ministro per la Cooperazione Internazionale, Signora Aboulnaga.
  • 27-01-09 Città del Messico, Messico, seminario con l’ex Primo Ministro Spagnolo Felipe Gonzales e agli ex Presidenti della Repubblica del Cile Lagos e dell’Uruguay Sanguinetti. Incontri con il Presidente della Repubblica Calderon e con i massimi rappresentanti dei tre maggiori partiti rappresentati in Parlamento, cioè il Partito di Azione Nazionale (PAN), il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) e rappresentanti di numerose Associazioni non Governative
  • 6-2-09 Providence, Rhode Island, Stati Uniti. Nomina a “Professor at large” presso la Brown University (membro dell’Ivy League).
  • 27-2-09 Sirte, Libia. Incontro con il Colonnello  Muammar Abu Minyar al-Gaddafi, Presidente della Unione Africana, in una tenda nel deserto.
  • 3-3-09 New York, Stati Uniti, sede dell’ONU.  Relazione al segretario generale dell’Onu dell’attività della Commissione Unione Africana – ONU guidata da Romano Prodi sul finanziamento delle missioni di peacekeeping in Africa
  • 12-3-09 Barcelona, Spagna. Lezione alla Real Academia de ciencias economicas y financieras de Espana.
  • 13-5-09 Incontro a Bologna con i capi tribù del Forum Africa.
  • Dal 14 al 16-05-09 : Atene, Grecia. Partecipazione alla riunione annuale del Gruppo Bilderberg
  • Gerusalemme, incontro con Simon Peres, Nablus incontro con i  massimi responsabili religiosi e i dirigenti politici palestinesi  di tutte le parti politiche .
  • Dal 2 al 4-7-09 Pechino, Cina, Partecipazione al  primo Global Think Tank Summit.
  • 3-9-09 Karthoum, Sudan,  Incontro a con il Presidente di unità nazionale sudanese Bashir. 
  • 9-9-09 Partecipazione alla presentazione delle previsioni economiche del Centro studi di Confindustria a Roma.
  • 09 – 10 -09 Gerusalemme, incontro con Simon Peres, Nablus incontro con i  massimi responsabili religiosi e i dirigenti politici palestinesi  di tutte le parti politiche .
  • 16-9-09 Mosca, Russia. Nomina a professore onorario della Mirbis, una prestigiosa business school internazionale di Mosca, la prima nata nell’Urss all’ombra della perestroika. Nell’ambito della visita incontro con il Primo ministro russo Vladimir Putin, sui temi dell’Africa e della operazione internazionale.
  • 7-10-09 Partecipazione al convegno ‘Garantire la pace la sicurezza in Africa’ alla Farnesina, sede del Ministero degli Esteri italiano a Roma.
  • Novembre 09 – Washington, USA- Ambasciata italiana negli Stati Uniti incontro con i maggiori responsabili dei problemi africani delle Istituzioni Americane, per affrontare il tema di una strategia comune tra gli  Stati Uniti ,l’Europa e la Cina nei confronti dell’Unione Africana.

Vedere anche: Bilancio 2009 ed uno sguardo al 2010

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7

Oct

Prodi: sulla libertà di stampa in Sudan il presidente Bashir ha mantenuto la promessa

Inserito da ll  - Pubblicato in Voci dal Mondo

Dal Sudan Tribune del 7 ottobre 2009

6 ottobre 2009 (Khartoum) – Oggi il presidente sudanese Omer Hassan Al-Bashir ha ricevuto una telefonata dall’ex Primo Ministro italiano Romano Prodi.

L’agenzia di stampa ufficiale sudanese (SUNA) ha detto che Prodi si congratula con Bashir per la sua recente decisione di revocare la censura preventiva sulla stampa.

Bashir ha ordinato di interrompere la procedura che autorizza gli ufficiali dei Servizi segreti e della sicurezza nazionale (NISS) a leggere sistematicamente i giornali prima che vengano mandati in stampa rimuovendo il materiale che ritengono politicamente inappropriato.

Il presidente sudanese ha aggiunto che, nonostante l’eliminazione della procedura, i direttori responsabili delle testate sono comunque tenuti a non superare ciò che ha descritto come la “linea rossa”.

Prodi ha detto a Bashir che questo passo corrisponde a ciò che egli gli aveva promesso durante la sua visita a Khartoum un mese fa. Visita dedicata alla valutazione dell’impegno sudanese per la trasformazione democratica, alla preparazione di elezioni libere che si dovrebbero tenere nell’aprile del prossimo anno e alla diffusione delle libertà fondamentali che consentiranno a tutte le forze politiche di competere alla pari nelle imminenti elezioni.

L’agenzia di stampa non ha precisato in quale veste Prodi stava telefonando se non per sottolineare che si tratta dell’ex primo ministro italiano ed ex-presidente della Commissione europea.

Prodi ha compiuto una visita a Khartoum ai primi di settembre 2009, durante la quale il Presidente della Fondazione per la Collaborazione fra i Popoli si è incontrato con Bashir.

Nell’occasione, il sito web della Fondazione ha segnalato che Prodi durante la visita ha avuto una “lunga” discussione con il capo di Stato sudanese.

“Sono stato informato sulla situazione in Sudan in termini di democrazia e pace. La conversazione con il Presidente Bashir è stata approfondita e aperta, abbiamo discusso di questioni quali la preparazione delle elezioni politiche, il referendum per l’autodeterminazione del Sud Sudan, il mantenimento della pace e l’assistenza umanitaria in Darfur.

Ho raccomandato che ulteriori miglioramenti devono essere compiuti a proposito della libertà di stampa, sulla trasparenza delle elezioni e sulla sicurezza delle attività delle ONG in Darfur “, ha aggiunto.

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23

Sep

Il punto sul Peacekeeping in Africa

Inserito da ll  - Pubblicato in Riflessioni sul Mondo
An UN peacekeeper in Darfur

Un soldato delle Nazioni Unite in Darfur

L’ Africa alle Nazioni Unite.  

23 settembre 2009

Il problema africano sarà al centro della discussione, quando oggi, 23 settembre, il Consiglio di sicurezza dell’ONU,
presieduto dal presidente Barack Obama, si riunirà per discutere la questione del mantenimento della pace in il mondo con i dieci maggiori Stati che offrono risorse umane per le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite.

Le guerre africane, infatti, occupano oltre il 70% di tutte le risorse dedicate dalle Nazioni Unite per le operazioni di Peace Keeping e per decenni in molte zone del continente non vi è stato un solo momento di pace. Dal Corno D’Africa ai Grandi Laghi ad Ovest, in Africa i conflitti sono endemici.

Il costo è sbalorditivo. Milioni di persone sono state uccise e miliardi di dollari sono stati spesi. I problemi connessi, come le scarse infrastrutture, le minacce ambientali, le distanze, le malattie, fanno si’ che,  il dopoguerra sia più lungo e più dannoso rispetto al conflitto stesso. Se la capacità militare può essere parte di ogni possibile soluzione, la pace nel continente africano non può essere raggiunta solo attraverso il dispiegamento di forze militari. Misure come preallarme, prevenzione dei conflitti, risoluzione dei conflitti e ricostruzione post-conflitto dovrebbe essere parte della nostra capacità di mantenimento della pace.

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha sicuramente la piena responsabilità del mantenimento della pace e della sicurezza, e le operazioni delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace hanno subito un aumento esponenziale dai primi anni novanta ad oggi.

Tuttavia è sempre più chiaro che questi obiettivi fondamentali non possono essere raggiunti senza un coinvolgimento molto più profondo delle istituzioni africane, come l’Unione Africana e le organizzazioni regionali che si occupano di guerre diffuse al di là dei confini nazionali, che sono state scatenate in dispregio delle realtà tribali, etniche o religiose.

Una quantità significativa di sinergie fra queste organizzazione deve essere realizzata attingendo alle rispettive capacità di ciascuna di queste, ma l’Unione Africana ha riconosciuto la necessità di sviluppare una propria capacità di rispondere alle crisi del continente.

Credo che sia estremamente importante creare le condizioni per aumentare il coinvolgimento dell’UA nel processo decisionale e nella realizzazione delle operazioni di pace nel continente africano e finanziare la sua ‘capacità di mantenimento della pace’ in modo di trasferire, alla fine, la responsabilità e proprietà delle operazioni direttamente all’ AU.

Ma, fino ad oggi, i paesi importanti come Francia e Regno Unito si sono opposti l’empowerment dell’Unione Africana perchè si faccia carico del mantenimento della pace in Africa.

Il presupposto è che gli africani non hanno la capacità di farlo e, buttare i soldi sul problema, non aiuta a risolverlo.

Questo ragionamento è corretto, in linea di principio, ma non tiene conto del fatto che senza fare qualcosa di concreto, visibile e con una prospettiva a lungo termine, si finisce col ricadere nel proverbiale problema dell’uovo e della gallina, e questo non provocherà alcun cambiamento.

Ma qualcosa di nuovo sta arrivando.

Il panel che ho presieduto per il mantenimento della pace in Africa ha proposto, tra le altre raccomandazioni, un ‘fondo di finanziamento multidonatore a lungo termine ‘, specificamente progettato per il potenziamento della capacità di intervento dell’Unione Africana.

La relazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite che sarà rilasciata il 23 sottolinea l’importanza di un forte partenariato strategico tra Unione Africana e Nazioni Unite.

È molto probabile che il presidente Obama sosterrà questi passaggi e, come ha detto nei suoi recenti discorsi sull’Africa, si schiererà nettamente contro le politiche che possono portare alla memoria antiche strategie colonialiste. Politiche che non solo sono molto pericolose per la pace in Africa, ma hanno effetti vanno ben oltre il problema del mantenimento della pace.

Le stesse nazioni che si oppongono all’idea di una forte AU sono quelle che privilegiano le relazioni bilaterali con i paesi africani coi quali hanno vecchi legami coloniali. Questo bilateralismo impedisce la creazione di mercati di dimensioni sufficienti per promuovere una crescita economica significativa. Il commercio interno in Africa è molto basso e i progetti per la realizzazione di infrastrutture a livello continentale per il trasporto, l’energia e la comunicazione sono del tutto insufficienti. Anche la Cina, che è presente in tutta l’Africa, a seguito di una politica continentale ben visibile, si occupa dei paesi africani ad uno ad uno e non aiuta la loro integrazione in una realtà più grande.

Piuttosto che dare la colpa ai cinesi per il loro ‘sfruttamento’ delle risorse naturali, dovremmo cercare di trovare con loro una politica comune verso il continente, con l’obiettivo di un rafforzamento del ruolo e del potere dell’Unione africana e di definire strategie a lungo termine al livello continentale, rispettosa di tutte le realtà locali etnice, religiose e tribali.

Il sostegno economico e l’assistenza a coloro che sono più bisognosi è sicuramente molto importante, ma il mantenimento della pace, la diffusione della democrazia e dello sviluppo economico ed un nuovo sistema integrato di politica africana è di primaria urgenza.

Romano Prodi

Presidente della ONU-AU Pannello di mantenimento della pace in Africa

L’ex presidente della Commissione europea e il Primo Ministro italiano

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